La settimana dei mercati – Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay AM
Quale economia è ancora frizzante?
In sintesi
• Il FOMC statunitense ha lasciato i tassi invariati, ma ha espresso l’intenzione di alzarli ancora una volta nel 2023
• Con l’economia statunitense che rimane forte, si sta diffondendo la convinzione che i tassi rimarranno più alti più a lungo
• Nel Regno Unito, una sorpresa al ribasso sull’inflazione mensile ha portato la BoE a mantenere i tassi al 5,25%
• In Europa, gli spread creditizi si sono ampliati, con i nuovi massimi dei rendimenti che spingono gli asset rischiosi a indebolirsi in tutti i mercati
• L’aumento dei rendimenti globali e la solidità dei dati macro continuano a far divergere i tassi globali rispetto al Giappone
• Guardando al futuro, riteniamo che siamo sul punto di raggiungere un momento decisivo per tutti i mercati
(18-22 settembre 2023) – I rendimenti statunitensi sono saliti a nuovi massimi sulla scia della riunione della Federal Reserve di questa settimana. Powell ha annunciato tassi invariati al 5,37% (sulla base della parte centrale dell’intervallo di riferimento), pur mantenendo l’orientamento per un nuovo rialzo entro la fine del 2023. Anche le proiezioni che indicano un minor numero di tagli dei tassi previsti per il 2024 hanno pesato sul sentiment, con l’idea che i tassi resteranno più alti più a lungo che continua a prendere piede.
Molti operatori di mercato hanno investito partendo dal presupposto che i tassi sarebbero scesi poco dopo aver raggiunto il picco. Tuttavia, dato che l’attività economica rimane relativamente robusta e il mercato del lavoro è rigido, è più probabile che i tassi si mantengano sui livelli attuali o quasi per nove mesi o più, prima che l’inflazione si riduca a sufficienza per consentire al FOMC di adottare un atteggiamento più dovish.
Con, sullo sfondo, una curva dei rendimenti invertita, che pesa sui rendimenti. In un momento in cui molti investitori sono già lunghi e sbagliano nel trade della duration, il mercato potrebbe continuare a scambiare in modo relativamente pesante per il momento, in assenza di un catalizzatore che faccia scendere i rendimenti.
Guardando al mercato del lavoro statunitense, continuiamo a essere colpiti dalla forza dei dati settimanali sulle richieste di sussidi di disoccupazione. Nel frattempo, osserviamo una continua pressione sui salari, nonostante il rallentamento delle attività di assunzione. Lo sciopero dei lavoratori dell’auto da parte del sindacato UAW ne è un ulteriore esempio aneddotico e, sebbene questo sciopero possa portare a un indebolimento dei dati sull’attività per un certo periodo, la situazione si invertirà se lo scontro si rivelerà di breve durata.
In generale, continuiamo a ritenere che l’inflazione possa rimanere bloccata tra il 3-4% per un po’ di tempo, fino a quando l’inasprimento delle politiche monetarie non avrà un impatto maggiore sull’economia nel corso del prossimo anno. Mettiamo in discussione anche le ipotesi a lungo termine relative al tasso di interesse naturale, R*. Per il momento, la maggioranza dei partecipanti alla Fed lo vede ancora intorno al 2,5%. Tuttavia, è ora sempre più sotto esame.
A nostro avviso, quanto più a lungo i tassi rimarranno su livelli elevati, tanto più le stime di R* potrebbero essere riviste al rialzo. Potremmo facilmente ipotizzare che le pressioni inflazionistiche rimarranno elevate su base continuativa, tanto che il livello neutrale dei tassi d’interesse è ora più vicino al 3% o al 3,5%. Se il pensiero dovesse andare in questa direzione, questo potrebbe essere un altro fattore che peserà sul sentiment degli asset a lunga duration.
In Europa, la scorsa settimana è stato il Regno Unito ad attirare più attenzione. Una sorpresa al ribasso sull’inflazione mensile ha portato la BoE a mantenere i tassi al 5,25% questo mese. Gli effetti di base dovrebbero farsi sentire di più sull’inflazione nei prossimi due mesi e, con il rallentamento dell’economia, questo dà peso alla visione che la Bank of England adesso lascerà i tassi fermi.
Tuttavia, va notato che i dati sull’inflazione di questo mese sono stati influenzati da alcuni effetti temporanei. Inoltre, il CPI core nel Regno Unito rimane al di sopra del 6%, con una crescita dei salari superiore all’8% e con un trend in accelerazione. Da questo punto di vista, non si può escludere un nuovo rialzo dell’inflazione alla fine dell’anno e all’inizio del 2024.
A questo proposito, l’aumento del prezzo del petrolio è motivo di preoccupazione. I nostri incontri a Riyadh la scorsa settimana ci hanno suggerito che i sauditi sono soddisfatti del loro livello di controllo sull’OPEC e sui prezzi del petrolio e sono desiderosi di sostenere la recente forza dei prezzi. Inoltre, in un momento in cui la forza economica degli Stati Uniti continua a spingere il dollaro verso l’alto, questo movimento del petrolio sta avendo un impatto ancora maggiore sull’inflazione lontano dagli Stati Uniti.
La settimana scorsa ci ha interessato anche l’aumento dei dati sull’inflazione canadese. Il Canada è un’economia che sembrava avere un atterraggio morbido a portata di mano solo pochi mesi fa. Tuttavia, dopo un periodo di tassi fermi, una nuova accelerazione dell’inflazione ha costretto la Bank of Canada ad alzare nuovamente i tassi.
Ci chiediamo se questa esperienza possa ripetersi in altre economie. Nel Regno Unito, riteniamo che la stagflazione rimanga una prospettiva reale. Pensiamo che la crescita economica probabilmente stenterà, ma che la crescita dei prezzi potrebbe finire per bloccarsi tra il 4-5%, lasciando la BoE in una situazione difficile. In definitiva, ci aspettavamo che la Bank of England perseguisse un percorso dovish, dato che i suoi modelli prevedono che una crescita debole raffredderà l’aumento dei prezzi.
Tuttavia, dato che le aspettative d’inflazione si sono già in qualche modo disancorate, ci sentiamo meno fiduciosi in questa traiettoria e continuiamo a sperare che la sterlina subisca la pressione, mentre i policymaker cercano di sostenere la crescita.
In Europa, i rendimenti hanno seguito i movimenti negli Stati Uniti, con i Bund ai nuovi massimi dal 2011. Nel frattempo, gli spread creditizi si sono ampliati, con i nuovi massimi dei rendimenti che spingono gli asset rischiosi a indebolirsi su tutti i mercati.
Dopo la grande offerta dell’inizio del mese, gli investitori potrebbero ora avere fatto relativamente il pieno di rischio di credito, anche se a questo punto i movimenti più deboli del mercato rimangono ordinati. È opinione comune che abbia senso possedere il credito senza copertura di duration, ritenendo che, se la crescita economica si indebolisce e gli spread si allargano a causa dei timori di recessione, i rendimenti dei titoli di Stato sottostanti aumenteranno.
Tuttavia, nel caso in cui l’opinione comune dovesse cominciare a entrare in crisi, questa posizione non tiene conto di uno scenario in cui l’inflazione rimane più problematica e i rendimenti devono salire ulteriormente. In questo contesto, nel 2022 abbiamo visto come una posizione lunga in termini di duration e di asset di rischio possa produrre rendimenti significativamente negativi.
Da questo punto di vista, notiamo che, per la prima volta quest’anno, i rendimenti dell’indice Aggregate Fixed Income statunitense sono passati in territorio negativo.
In Giappone, ci siamo avvicinati alla riunione della BoJ con una pressione continua su Ueda. L’aumento dei rendimenti a livello globale e la robustezza dei dati continuano a far divergere i tassi globali rispetto al Giappone, riducendo le opportunità di carry per i possessori di yen.
Sebbene riteniamo che lo yen sia una valuta molto sottovalutata, la BoJ ha minato questa valuta aderendo a un atteggiamento eccessivamente dovish, il che significa che sta accentuando l’orientamento accomodante della politica monetaria, incrementando gli acquisti di obbligazioni.
Questa situazione sta diventando insostenibile e percepiamo anche che la debolezza dello yen sta alimentando un’ulteriore pressione inflazionistica, con il rischio che la Bank of Japan sia ancora più in ritardo.
I policymaker del Ministero delle finance (MoF) hanno chiesto la collaborazione delle autorità statunitensi per cercare di arginare la caduta dello yen, ma sicuramente la risposta si trova molto più vicino a casa. A meno che il contesto globale non si indebolisca significativamente nel breve termine, se resterà a lungo troppo compiacente, vedremo solo aumentare la pressione sulla banca centrale giapponese con il rischio alla fine che Ueda sia costretto ad attuare una politica restrittiva in modo troppo aggressivo.
Guardando al Futuro
Riteniamo che stia per arrivare un momento decisivo sui mercati. L’aumento dei rendimenti potrebbe portare a una capitulation in caso di rottura del 4,5% sui titoli decennali statunitensi o del 5,25% sulle scadenze a 2 anni. Nel frattempo, se i recenti ribassi dei titoli azionari dovessero persistere, si potrebbe assistere a un ribasso più ampio e generale degli asset rischiosi.
In questo contesto, l’aumento dei rendimenti dei Treasury e l’allargamento degli spread creditizi sembrano essere i trade più penalizzanti sui mercati e, se dovesse verificarsi una capitulation, si potrebbero creare interessanti opportunità di ingresso. Inizialmente potremmo cercare di trarre vantaggio chiudendo le coperture dei CDS sul credito ma, per il momento, ci accontentiamo di restare fermi e di attendere ancora un po’ per valutare gli sviluppi del mercato.
Riteniamo che la valutazione relativa tra i Gilt a lunga scadenza e i Treasury statunitensi non sia più in linea e siamo propensi a vendere i Gilt rispetto ai Treasury su base RV, se il rendimento dei primi dovesse scendere di 20 punti base rispetto ai secondi.
Siamo tuttora convinti che nel medio termine l’inflazione nel Regno Unito rimarrà a livelli più elevati rispetto agli Stati Uniti, il che richiederà tassi più alti da parte della BoE rispetto alla Fed. La posizione di bilancio di Stati Uniti e Regno Unito è in cattive condizioni. Tuttavia, negli Stati Uniti, la dinamica di crescita più forte e la posizione di valuta di riserva sono entrambe forti attenuanti.
Nel Regno Unito, invece, vediamo un Paese che deve fare i conti con la realtà: non ci sono abbastanza soldi da spendere per tutti i punti all’ordine del giorno che il governo o la società in generale vorrebbero vedere affrontati.
Dall’altra parte dell’Atlantico, il quadro macroeconomico sottostante appare profondamente diverso. In confronto, si può dire che gli Stati Uniti stiano affrontando quelli che Taylor Swift chiamerebbe “champagne problems”, falsi problemi, se messi nel contesto di quelli dall’altra parte dell’Oceano. Di certo, l’economia statunitense sembra avere ancora molta effervescenza per il momento.
RBC BlueBay Asset Management, parte di RBC Global Asset Management (la divisione di asset management di Royal Bank of Canada), offre servizi e soluzioni di gestione degli investimenti a livello globale nelle aree EMEA e APAC. Caratterizzati da una forte esperienza negli investimenti azionari attivi e da una piattaforma di investimenti obbligazionari (BlueBay), disponiamo delle dimensioni e della capacità necessarie per generare risultati che soddisfino gli obiettivi degli investitori, compreso quello di integrare i fattori ESG in tutte le strategie di investimento.
Con 412 miliardi di dollari di asset in gestione a livello globale (al 31/03/23), l’ampiezza delle nostre competenze per asset class, l’approccio collaborativo e l’impegno per l’eccellenza del servizio assicurano agli investitori di essere ben posizionati per beneficiare delle opportunità di investimento in tutte le asset class e aree geografiche.
Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay Asset Management
Mark Dowding, con oltre 25 anni di esperienza nel mondo degli investimenti, è in BlueBay dal 2010. In precedenza è stato Head of Fixed Income per l’Europa in Deutsche Asset Management, ruolo che aveva già ricoperto in Invesco. Ha iniziato la sua carriera come gestore obbligazionario in Morgan Grenfell nel 1993, dopo la laurea in Economia all’Università di Warwick.
LA SETTIMANA DEI MERCATI (18-22 settembre 2023) – Il commento di Mark Dowding, Fixed Income CIO di RBC BlueBay
La settimana dei mercati – Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay AM
Quale economia è ancora frizzante?
In sintesi
• Il FOMC statunitense ha lasciato i tassi invariati, ma ha espresso l’intenzione di alzarli ancora una volta nel 2023
• Con l’economia statunitense che rimane forte, si sta diffondendo la convinzione che i tassi rimarranno più alti più a lungo
• Nel Regno Unito, una sorpresa al ribasso sull’inflazione mensile ha portato la BoE a mantenere i tassi al 5,25%
• In Europa, gli spread creditizi si sono ampliati, con i nuovi massimi dei rendimenti che spingono gli asset rischiosi a indebolirsi in tutti i mercati
• L’aumento dei rendimenti globali e la solidità dei dati macro continuano a far divergere i tassi globali rispetto al Giappone
• Guardando al futuro, riteniamo che siamo sul punto di raggiungere un momento decisivo per tutti i mercati
(18-22 settembre 2023) – I rendimenti statunitensi sono saliti a nuovi massimi sulla scia della riunione della Federal Reserve di questa settimana. Powell ha annunciato tassi invariati al 5,37% (sulla base della parte centrale dell’intervallo di riferimento), pur mantenendo l’orientamento per un nuovo rialzo entro la fine del 2023. Anche le proiezioni che indicano un minor numero di tagli dei tassi previsti per il 2024 hanno pesato sul sentiment, con l’idea che i tassi resteranno più alti più a lungo che continua a prendere piede.
Molti operatori di mercato hanno investito partendo dal presupposto che i tassi sarebbero scesi poco dopo aver raggiunto il picco. Tuttavia, dato che l’attività economica rimane relativamente robusta e il mercato del lavoro è rigido, è più probabile che i tassi si mantengano sui livelli attuali o quasi per nove mesi o più, prima che l’inflazione si riduca a sufficienza per consentire al FOMC di adottare un atteggiamento più dovish.
Con, sullo sfondo, una curva dei rendimenti invertita, che pesa sui rendimenti. In un momento in cui molti investitori sono già lunghi e sbagliano nel trade della duration, il mercato potrebbe continuare a scambiare in modo relativamente pesante per il momento, in assenza di un catalizzatore che faccia scendere i rendimenti.
Guardando al mercato del lavoro statunitense, continuiamo a essere colpiti dalla forza dei dati settimanali sulle richieste di sussidi di disoccupazione. Nel frattempo, osserviamo una continua pressione sui salari, nonostante il rallentamento delle attività di assunzione. Lo sciopero dei lavoratori dell’auto da parte del sindacato UAW ne è un ulteriore esempio aneddotico e, sebbene questo sciopero possa portare a un indebolimento dei dati sull’attività per un certo periodo, la situazione si invertirà se lo scontro si rivelerà di breve durata.
In generale, continuiamo a ritenere che l’inflazione possa rimanere bloccata tra il 3-4% per un po’ di tempo, fino a quando l’inasprimento delle politiche monetarie non avrà un impatto maggiore sull’economia nel corso del prossimo anno. Mettiamo in discussione anche le ipotesi a lungo termine relative al tasso di interesse naturale, R*. Per il momento, la maggioranza dei partecipanti alla Fed lo vede ancora intorno al 2,5%. Tuttavia, è ora sempre più sotto esame.
A nostro avviso, quanto più a lungo i tassi rimarranno su livelli elevati, tanto più le stime di R* potrebbero essere riviste al rialzo. Potremmo facilmente ipotizzare che le pressioni inflazionistiche rimarranno elevate su base continuativa, tanto che il livello neutrale dei tassi d’interesse è ora più vicino al 3% o al 3,5%. Se il pensiero dovesse andare in questa direzione, questo potrebbe essere un altro fattore che peserà sul sentiment degli asset a lunga duration.
In Europa, la scorsa settimana è stato il Regno Unito ad attirare più attenzione. Una sorpresa al ribasso sull’inflazione mensile ha portato la BoE a mantenere i tassi al 5,25% questo mese. Gli effetti di base dovrebbero farsi sentire di più sull’inflazione nei prossimi due mesi e, con il rallentamento dell’economia, questo dà peso alla visione che la Bank of England adesso lascerà i tassi fermi.
Tuttavia, va notato che i dati sull’inflazione di questo mese sono stati influenzati da alcuni effetti temporanei. Inoltre, il CPI core nel Regno Unito rimane al di sopra del 6%, con una crescita dei salari superiore all’8% e con un trend in accelerazione. Da questo punto di vista, non si può escludere un nuovo rialzo dell’inflazione alla fine dell’anno e all’inizio del 2024.
A questo proposito, l’aumento del prezzo del petrolio è motivo di preoccupazione. I nostri incontri a Riyadh la scorsa settimana ci hanno suggerito che i sauditi sono soddisfatti del loro livello di controllo sull’OPEC e sui prezzi del petrolio e sono desiderosi di sostenere la recente forza dei prezzi. Inoltre, in un momento in cui la forza economica degli Stati Uniti continua a spingere il dollaro verso l’alto, questo movimento del petrolio sta avendo un impatto ancora maggiore sull’inflazione lontano dagli Stati Uniti.
La settimana scorsa ci ha interessato anche l’aumento dei dati sull’inflazione canadese. Il Canada è un’economia che sembrava avere un atterraggio morbido a portata di mano solo pochi mesi fa. Tuttavia, dopo un periodo di tassi fermi, una nuova accelerazione dell’inflazione ha costretto la Bank of Canada ad alzare nuovamente i tassi.
Ci chiediamo se questa esperienza possa ripetersi in altre economie. Nel Regno Unito, riteniamo che la stagflazione rimanga una prospettiva reale. Pensiamo che la crescita economica probabilmente stenterà, ma che la crescita dei prezzi potrebbe finire per bloccarsi tra il 4-5%, lasciando la BoE in una situazione difficile. In definitiva, ci aspettavamo che la Bank of England perseguisse un percorso dovish, dato che i suoi modelli prevedono che una crescita debole raffredderà l’aumento dei prezzi.
Tuttavia, dato che le aspettative d’inflazione si sono già in qualche modo disancorate, ci sentiamo meno fiduciosi in questa traiettoria e continuiamo a sperare che la sterlina subisca la pressione, mentre i policymaker cercano di sostenere la crescita.
In Europa, i rendimenti hanno seguito i movimenti negli Stati Uniti, con i Bund ai nuovi massimi dal 2011. Nel frattempo, gli spread creditizi si sono ampliati, con i nuovi massimi dei rendimenti che spingono gli asset rischiosi a indebolirsi su tutti i mercati.
Dopo la grande offerta dell’inizio del mese, gli investitori potrebbero ora avere fatto relativamente il pieno di rischio di credito, anche se a questo punto i movimenti più deboli del mercato rimangono ordinati. È opinione comune che abbia senso possedere il credito senza copertura di duration, ritenendo che, se la crescita economica si indebolisce e gli spread si allargano a causa dei timori di recessione, i rendimenti dei titoli di Stato sottostanti aumenteranno.
Tuttavia, nel caso in cui l’opinione comune dovesse cominciare a entrare in crisi, questa posizione non tiene conto di uno scenario in cui l’inflazione rimane più problematica e i rendimenti devono salire ulteriormente. In questo contesto, nel 2022 abbiamo visto come una posizione lunga in termini di duration e di asset di rischio possa produrre rendimenti significativamente negativi.
Da questo punto di vista, notiamo che, per la prima volta quest’anno, i rendimenti dell’indice Aggregate Fixed Income statunitense sono passati in territorio negativo.
In Giappone, ci siamo avvicinati alla riunione della BoJ con una pressione continua su Ueda. L’aumento dei rendimenti a livello globale e la robustezza dei dati continuano a far divergere i tassi globali rispetto al Giappone, riducendo le opportunità di carry per i possessori di yen.
Sebbene riteniamo che lo yen sia una valuta molto sottovalutata, la BoJ ha minato questa valuta aderendo a un atteggiamento eccessivamente dovish, il che significa che sta accentuando l’orientamento accomodante della politica monetaria, incrementando gli acquisti di obbligazioni.
Questa situazione sta diventando insostenibile e percepiamo anche che la debolezza dello yen sta alimentando un’ulteriore pressione inflazionistica, con il rischio che la Bank of Japan sia ancora più in ritardo.
I policymaker del Ministero delle finance (MoF) hanno chiesto la collaborazione delle autorità statunitensi per cercare di arginare la caduta dello yen, ma sicuramente la risposta si trova molto più vicino a casa. A meno che il contesto globale non si indebolisca significativamente nel breve termine, se resterà a lungo troppo compiacente, vedremo solo aumentare la pressione sulla banca centrale giapponese con il rischio alla fine che Ueda sia costretto ad attuare una politica restrittiva in modo troppo aggressivo.
Guardando al Futuro
Riteniamo che stia per arrivare un momento decisivo sui mercati. L’aumento dei rendimenti potrebbe portare a una capitulation in caso di rottura del 4,5% sui titoli decennali statunitensi o del 5,25% sulle scadenze a 2 anni. Nel frattempo, se i recenti ribassi dei titoli azionari dovessero persistere, si potrebbe assistere a un ribasso più ampio e generale degli asset rischiosi.
In questo contesto, l’aumento dei rendimenti dei Treasury e l’allargamento degli spread creditizi sembrano essere i trade più penalizzanti sui mercati e, se dovesse verificarsi una capitulation, si potrebbero creare interessanti opportunità di ingresso. Inizialmente potremmo cercare di trarre vantaggio chiudendo le coperture dei CDS sul credito ma, per il momento, ci accontentiamo di restare fermi e di attendere ancora un po’ per valutare gli sviluppi del mercato.
Riteniamo che la valutazione relativa tra i Gilt a lunga scadenza e i Treasury statunitensi non sia più in linea e siamo propensi a vendere i Gilt rispetto ai Treasury su base RV, se il rendimento dei primi dovesse scendere di 20 punti base rispetto ai secondi.
Siamo tuttora convinti che nel medio termine l’inflazione nel Regno Unito rimarrà a livelli più elevati rispetto agli Stati Uniti, il che richiederà tassi più alti da parte della BoE rispetto alla Fed. La posizione di bilancio di Stati Uniti e Regno Unito è in cattive condizioni. Tuttavia, negli Stati Uniti, la dinamica di crescita più forte e la posizione di valuta di riserva sono entrambe forti attenuanti.
Nel Regno Unito, invece, vediamo un Paese che deve fare i conti con la realtà: non ci sono abbastanza soldi da spendere per tutti i punti all’ordine del giorno che il governo o la società in generale vorrebbero vedere affrontati.
Dall’altra parte dell’Atlantico, il quadro macroeconomico sottostante appare profondamente diverso. In confronto, si può dire che gli Stati Uniti stiano affrontando quelli che Taylor Swift chiamerebbe “champagne problems”, falsi problemi, se messi nel contesto di quelli dall’altra parte dell’Oceano. Di certo, l’economia statunitense sembra avere ancora molta effervescenza per il momento.
RBC BlueBay Asset Management, parte di RBC Global Asset Management (la divisione di asset management di Royal Bank of Canada), offre servizi e soluzioni di gestione degli investimenti a livello globale nelle aree EMEA e APAC. Caratterizzati da una forte esperienza negli investimenti azionari attivi e da una piattaforma di investimenti obbligazionari (BlueBay), disponiamo delle dimensioni e della capacità necessarie per generare risultati che soddisfino gli obiettivi degli investitori, compreso quello di integrare i fattori ESG in tutte le strategie di investimento.
Con 412 miliardi di dollari di asset in gestione a livello globale (al 31/03/23), l’ampiezza delle nostre competenze per asset class, l’approccio collaborativo e l’impegno per l’eccellenza del servizio assicurano agli investitori di essere ben posizionati per beneficiare delle opportunità di investimento in tutte le asset class e aree geografiche.
Mark Dowding, Fixed Income CIO, RBC BlueBay Asset Management
Mark Dowding, con oltre 25 anni di esperienza nel mondo degli investimenti, è in BlueBay dal 2010. In precedenza è stato Head of Fixed Income per l’Europa in Deutsche Asset Management, ruolo che aveva già ricoperto in Invesco. Ha iniziato la sua carriera come gestore obbligazionario in Morgan Grenfell nel 1993, dopo la laurea in Economia all’Università di Warwick.
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