Schroders – Che fine ha fatto la recessione negli Stati Uniti? Secondo noi, è stata solo ritardata

Buongiorno,

invio di seguito e in allegato un commento sulla possibile recessione negli Sati Uniti, a cura di Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders.

Con l’occasione, ricordo che Schroders, fondato nel 1804, quotato alla Borsa di Londra dal 1959 e parte dell’indice FTSE 100, è uno dei principali gruppi finanziari globali, con un patrimonio gestito e amministrato pari a €831,3 miliardi (al 31.12.2022).

Un caro saluto,

Diana Ferla

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Schroders – Che fine ha fatto la recessione negli Stati Uniti? Secondo noi, è stata solo ritardata

A cura di Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders

 

Gli Stati Uniti hanno continuato a crescere alla fine dello scorso anno e sembrano aver iniziato il 2023 con una nota positiva. Gli economisti stanno ora escludendo la possibilità di una recessione negli Stati Uniti, che era prevista fino a poche settimane fa.

Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) ha complicato il quadro e comporterà un irrigidimento delle condizioni finanziarie e una certa cautela da parte degli investitori. La nostra opinione è che questo fenomeno frenerà la crescita, ma in questa fase non sembra essere sufficientemente sistemico da provocare una più generale contrazione del credito e una recessione. La situazione è fluida, ma continuiamo ad aspettarci che la Fed aumenti i tassi di 25 punti base in occasione della prossima riunione di questa settimana.

Da tempo riteniamo che lo shock subito dall’economia nell’ultimo anno a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia, dell’aumento dei costi salariali e dei pagamenti degli interessi, avrebbe indebolito la domanda e provocato una contrazione del settore aziendale.

Alcuni segnali in tal senso si sono manifestati in settori come quello tecnologico, che ha tagliato posti di lavoro dopo essersi espanso rapidamente durante i lockdown. Un processo che potrebbe accelerare sulla scia del fallimento di SVB. Tuttavia, non abbiamo assistito a licenziamenti diffusi in tutta l’economia, né a un aumento della disoccupazione, che rimane vicina ai minimi storici.

Le aziende continuano a segnalare carenza di manodopera e le offerte di lavoro sono in crescita, con quasi due posti vacanti per ogni disoccupato. Il mercato del lavoro non si è indebolito come previsto.

Le aziende hanno trasferito l’aumento dei costi per mantenere i margini di profitto 

Dopo la recente stagione degli utili è chiaro che esiste ancora un potere di determinazione dei prezzi e che le aziende sono in grado di trasferire i costi più elevati sui prezzi, cosicché la compressione dei margini di profitto non si è ancora concretizzata. Ciò è confermato dai dati macroeconomici che mostrano un aumento dei prezzi più rapido dei costi salariali unitari nel settore delle imprese. I margini di profitto sono stati mantenuti e il flusso di cassa continua a superare le spese nel settore delle imprese.

In questo contesto le aziende non hanno subito pressioni finanziarie per ristrutturare e tagliare posti di lavoro. Di conseguenza, l’inflazione è ancora un problema, poiché i costi sono stati trasferiti sui prezzi al consumo.

Da questo punto di vista, la fonte della tenuta della crescita, dell’inflazione e degli utili aziendali risiede nella vivacità della domanda sottostante, che è rimasta sufficientemente forte da assorbire l’aumento dei prezzi.

Liberazione della domanda repressa

Per quanto riguarda i consumatori, l’aumento dell’inflazione ha chiaramente inciso sulla capacità di spesa. Nonostante ciò, la spesa reale dei consumatori statunitensi è aumentata nel 2022, anche se è stata sostenuta dall’accumulo di risparmi, piuttosto che dalla spesa del reddito corrente.

Il reddito personale disponibile reale è sceso del 2,3% nel corso dell’anno (dal quarto trimestre 2021 al quarto trimestre 2022), ma la spesa reale dei consumatori è aumentata dell’1,9% nello stesso periodo, poiché le famiglie hanno ridotto il loro tasso di risparmio dal 7,3% del reddito disponibile al 2,9%.

La riduzione del risparmio delle famiglie riflette l’utilizzo dei fondi accumulati durante la pandemia, quando la spesa era limitata. Secondo le nostre stime, lo scorso anno le famiglie disponevano di 2.400 miliardi di dollari di risparmi “in eccesso”, sulla base delle tendenze pre-pandemia. Secondo i nostri calcoli, nel 2022 sono stati utilizzati circa 800 miliardi di dollari per sostenere i consumi, pari al calo del tasso di risparmio, lasciando un eccesso di 1.600 miliardi di dollari.

Nel complesso, ci aspettiamo che l’eccesso si esaurisca a un ritmo simile a quello del 2022 e di conseguenza assisteremo a un altro anno in cui le famiglie manterranno il loro tasso di risparmio al di sotto della norma. Di conseguenza, i consumi nel 2023 dipenderanno interamente dalla crescita del reddito reale. Riteniamo che ciò sarà moderatamente positivo in quanto, sebbene l’inflazione sia attualmente elevata (6%) e superiore alla crescita di salari e stipendi, si prevede che gli aumenti dei prezzi al consumo si moderino nel corso dell’anno. Anche gli aumenti dei sussidi, delle pensioni e del salario minimo contribuiranno, ma la crescita del reddito reale non dovrebbe superare di molto l’1% nel 2023, soprattutto se, come previsto, la disoccupazione aumenterà.

Verso un rallentamento della domanda

Una crescita dei consumi dell’1% rappresenterebbe un notevole rallentamento della domanda, mettendo sotto pressione il potere di determinazione dei prezzi delle imprese e comprimendo i margini di profitto e i flussi di cassa. Le aziende dovrebbero reagire tagliando i posti di lavoro, facendo così aumentare la disoccupazione. Questo, a sua volta, si ripercuoterebbe sul rallentamento dei consumi, in quanto le famiglie diventerebbero più caute. A nostro avviso, questi effetti di seconda istanza scatenerebbero un’ulteriore debolezza della spesa e porterebbero l’economia a un rallentamento più marcato nel 2023.

A nostro avviso, la capacità di consumatori e imprese di resistere agli shock energetici e salariali contribuisce a spiegare gran parte della tenuta dell’economia. Ciò non significa che la politica monetaria abbia smesso di funzionare: essa agisce sempre con un lungo ritardo, e la velocità con cui i tassi di interesse sono stati aumentati da quasi zero ai livelli attuali significa che la politica non è stata restrittiva per così tanto tempo.

Su questa base, riteniamo che la recessione sia stata ritardata piuttosto che evitata. Se la domanda dei consumatori dovesse raffreddarsi come previsto, è probabile che ciò avvenga nella seconda metà dell’anno, se non più tardi. A questo punto è probabile che la Fed allenti la sua politica o opti per un cambio di rotta. 

(Commento e foto in allegato)

 


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