L’ADL del 3 novembre 2022

L’Avvenire dei lavoratori

3 novembre 2022 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

 

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EDITORIALE

 

TEMPI DI grande rarità

 

di Andrea Ermano

 

Immaginiamo i nostri nonni o bisnonni durante la Prima guerra mondiale: il freddo, gli stenti e i bombardamenti degli eserciti belligeranti, i cecchini costantemente pronti ad abbatterli con una fucilata. Questa la condizione dei “Soldati” di cui scriveva Ungaretti: Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie.

    E pure ai nostri nonni o bisnonni sarà capitato una mattina, forse dopo una lunga notte di guardia, di assistere al momento in cui il chiarore sconfinato del nuovo giorno li andava man mano investendo. Di certo, accadde a Ungaretti come si desume dal componimento più conciso della letteratura italiana – M’illumino / d’immenso –, pubblicato in Allegria di naufragi nel 1919.

    Dal sito “scuola e cultuura” apprendo che i due versi «sono preceduti da un’indicazione di luogo e tempo: Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917; la località è situata nella pianura a sud di Udine e la data ricorda che il poeta ha scritto questa lirica mentre ancora era al fronte, combattendo come soldato semplice nel corso del penultimo anno di guerra».

    Ora, però, noi qui abbiamo utilizzato un migliaio di battute per esprimere quel che il poeta sigilla in poche sillabe: grande, grandissima rarità della Parola lirica.

    Lo insegnava Umberto Eco, che la Poesia è come una persona gentile la quale azzannasse un Pit Bull. Non succede mai. Ma la volta in cui accadesse, farebbe notizia molto di più di quanto non potrebbe il morso di un cane al polpaccio mio o tuo o di un nostro simile.

    È la regola generale della notizia, tanto più importante quanto più inattesa, improbabile, unica.

    Così, la Poesia appare paragonabile a un trafiletto che diventa titolo in prima pagina e non si spegne con il passare del tempo, ma addirittura cresce, esce dal giornale e si sparge.

 

Dopodiché, non solo la Poesia, ma anche le altre muse, Storia inclusa, potrebbero in fin dei conti rivelarsi meno immortali di quanto molti non credano. E basti pensare a questa sfera terraquea, sovrappopolata e surriscaldata, su cui noi tutti affanniamo le nostre vite. Che cosa ci minaccia? Che ne sarebbe delle nostre vite nel caso in cui si scatenasse una Armageddon, come si dice oggidì?

    Per rispondere attingendo a una fonte davvero neutrale, citiamo la ministra della difesa elvetica, Viola Amherd, che in Ucraina reputa “sussistente” il rischio termonucleare – vuoi in seguito a un eventuale “incidente”, vuoi a causa di un “atto intenzionale”. Lo leggiamo sull’agenzia SWI (swissinfo.ch). E tuttavia le probabilità che ciò accada non sono al momento elevate, ci rassicura la ministra bernese.

    A parte che non riusciamo a tirare alcun sospiro di sollievo, noi stiamo attraversando strani giorni, che vengono da molti paragonati alla “Crisi dei missili di Cuba”, tanto più che – come rivelato da fonti vicine al Pentagono (vedi) – in Ucraina sono ormai presenti sul terreno consiglieri militari statunitensi.

    Ferma restando la nostra netta condanna dell’invasione putiniana ai danni di uno stato libero e sovrano, lasciateci tuttavia sperare che russi e americani non entreranno in diretto contatto (leggi “conflitto”), configurando un casus belli tra due superpotenze atomiche.

 

Si ha quasi pudore a parlare del Belpaese. In una recente intervista sulla riedizione del suo libro A Mosca l’ultima volta, Massimo D’Alema fa notare che proprio non si capisce come le leadership di centro-sinistra abbiano consentito alle destre di conquistare tre quinti dei seggi parlamentari con il 43,8% dei consensi espressi, pari a 12’300’244 voti.

    Se Letta, Conte e Calenda si fossero alleati avrebbero raggiunto 14’261’681 voti, pari al 50,5% dei consensi, come emerge dai dati elettorali, assommando PD (7’337’975 voti), M5S (4’333’972 voti), Azione (2’186’747 voti) e UP (402’987 voti).

    Colmo dei colmi, le tre principali forze del centro-sinistra avevano governato insieme durante tutti questi anni, ma poi se ne sono andate ciascuna per conto proprio, mentre la coalizione di destra raggruppava le due formazioni di governo (FI e Lega) insieme a quella d’opposizione (FdI).

    Dulcis in fundo (si fa per dire), la riduzione del numero dei parlamentari ha enfatizzato tutte le distorsioni di un sistema squinternato.

    I tre quinti dei seggi alle destre non aprono ancora al potere di modifica incontrastata della Costituzione, ma pur sempre consentono la nomina di nuovi giudici costituzionali e rispettivamente di nuovi membri del CSM. Il che, in seconda battuta, potrebbe però facilitare una modifica dell’assetto istituzionale italiano.

    Ci auguriamo che il pool di costituzionalisti di cui fa parte Felice Besostri riesca a scardinare in Consulta l’intruglio normativo, come ha saputo fare con il Porcellum e l’Italicum.

 

E veniamo alla svastica del viceministro Galeazzo Bignami (vedi). Avendo egli giurato “di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”, compirebbe un gesto patriottico, e anche coerente con la formula predetta, se semplicemente si togliesse di lì.

    Intendiamoci, gli errori di gioventù si potrebbero anche perdonare. Ma resta un problema ulteriore, che sta nel persistente danno d’immagine inferto a quella Nazione che il Viceministro giura di voler servire incondizionata­mente.

    Proprio un bel servizio.

    Tutti gli avversari e i concorrenti dell’Italia potranno ora utilizzare la svastica di Bignami ogni qual volta parrà loro utile sputtanare il nostro Paese, il suo governo e il popolo che lo ha eletto. O no?

    Né depongono a nostro favore i saluti neofascisti alla tomba di Mussolini in quel di Predappio (vedi). Né aiutano a migliorare l’immagine dell’Italia le manganellate ai dimostranti. E la lista potrebbe continuare.

    Si è capito, invece, fin troppo bene l’apparentemente assurdo polverone sollevato contro i rave parties. Era finalizzato a pompare uno di quei “casi straordinari di necessità e urgenza” per i quali si giustifica ai sensi dell’art. 77 della Costituzione l’uso del decreto legge.

    Decreto legge promulgato dal Governo Meloni in ordine alle nuove “Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali”. In esso si parla non di rave, ma di “invasione arbitraria” di “terreni o edifici altrui, pubblici o privati” commessa “da un numero di persone superiore a cinquanta”, qualora tale “invasione” possa causare “un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.

    Ma chi stabilirà che cos’è una “invasione arbitraria”? Chi stabilirà che i luoghi invasi “pubblici o privati” non vengano a essere puta caso strade, piazze, stadi, scuole, fabbriche, università eccetera? Chi stabilirà quando una manifestazione di protesta si trasformerebbe in una “invasione”? Chi stabilirà che cos’è l’ordine, l’incolumità o la salute in senso pubblico?

    La risposta a tutte queste domande rinvia in ultima analisi al Governo. In uno Stato ben organizzato è il Governo che vede e che provvede.

 

Il Governo Meloni ha provveduto a mettersi nelle condizioni di stabilire come, quando e dove sussista un rischio di manifestazione-invasione dalla quale, citiamo testualmente: “può derivare un pericolo” (corsivo nostro).

    E c’è chi può e chi non può.

    A Predappio, per esempio, si viola la legge sull’apologia di fascismo, ma non può sussistere alcun pericolo.

    Invece il rischio c’era, o poteva esserci, al rave party sgombrato, alla manifestazione degli studenti manganellati, eccetera.

    Ma, bando alle ingenuità: è sempre stato così. Solo che adesso siamo entrati in una fase più restrittiva per alcuni e più concessiva per altri. Ad alcuni è, infatti, vietato organizzare o promuovere assembramenti con più di cinquanta persone, ad altri è, invece, concesso sanzionare questi organizzatori e/o promotori “con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1’000 a euro 10’000”.

    Galera fino a sei anni per un rave party? Ma che senso ha?! Forse che l’elevatissimo limite di reclusione serva a rendere legittimo un uso massiccio delle intercettazioni e di altre misure di analogo tipo?

    Alcuni lo sospettano.

    Ma la premier ha comunicato tramite Facebook queste alate parole alla Nazione: “Vorrei rassicurare tutti i cittadini – qualora ce ne fosse bisogno – che non negheremo a nessuno di esprimere il dissenso”.

    Non negheremo…

    Giorgia Meloni, il rassicurante Presidente del Consiglio della Repubblica italiano, va complimentata per la rara magnanimità.

        

                  

SPIGOLATURE

 

Lula batte il Trump dei Tropici

Ma Bolsonaro non sparirà da un giorno all’altro

 

di Renzo Balmelli

 

VERDETTO. Se lo hanno ribattezzato il Trump dei Tropici qualche motivo ci sarà. E in Brasile Jair Bolsonaro, battuto al ballottaggio da Luiz Inacio Lula da Silva, non fa nulla per smentire la similitudine. Personaggi di destra come lui o come l’ex presidente americano non accettano la sconfitta, parlano di brogli mai provati e vogliono essere sempre loro a dare le carte. Mentre scriviamo queste note non è definitivamente chiaro se il presidente uscente riconoscerà o meno il passaggio dei poteri. In generale Bolsonaro ha beneficiato di un ampio consenso da parte delle lobby e degli autotrasportatori, che nell’America latina costituiscono una categoria molto agguerrita. I suoi affiliati hanno organizzato ora ampie proteste e blocchi autostradali contro i risultati delle elezioni, compromettendo la catena di approvvigionamento alimentare del paese e toccando quindi un nervo scoperto nella vita quotidiana dei brasiliani.

 

DEMOCRAZIA. Le elezioni in Brasile sono un evento di portata globale. Il Paese è la maggiore potenza economica dell’America latina e quanto vi accade si riverbera sull’intero continente. Sulla via della rinascita, dopo un terzo mandato che ha dello stupefacente, il leader della sinistra, assolto da tutte le accuse, si trova a dovere affrontare una sfida epocale non soltanto per l’avvenire del suo popolo, ma anche per definire assetti ed equilibri in questa parte del mondo. In ogni modo a Lula “homem do Povo”, l’uomo del popolo, non dovrebbe venir meno la solidarietà internazionale. Ormai sono lontani i tempi in cui Washington considerava i vicini del Sud come lo zerbino di casa. Il neo eletto durante il suo precedente governo ha strappato alla fame milioni di persone. Sul fronte opposto prevalgono invece le regole del liberismo, ben evidenziate dallo sfruttamento senza cuore delle enormi risorse dell’Amazzonia. Lula ha vinto con lo slogan “riprendiamoci la democrazia”, e il messaggio è passato. Ma Bolsonaro non sparirà da un giorno all’altro.

 

MINACCE. Tra meno di una settimana, martedì 8 novembre, l’America torna alle urne per le tradizionali elezioni di metà mandato in un clima non dei migliori. L’appuntamento, che serve per misurare la temperatura del Paese e valutare la popolarità di Biden, è stato preceduto da un gesto di inaudita brutalità. Il marito di Nancy Pelosi, speaker della Camera, è stato preso a martellate rischiando la vita. Il clamoroso episodio si inserisce in un contesto di minacce, insulti e attacchi proditori che dopo l’assalto al Campidoglio sono diventati allarmi quotidiani. Gli Stati Uniti hanno vissuto varie tragedie, basti pensare all’assassinio dei fratelli Kennedy o dei leader per i diritti civili, ma negli ultimi tempi il problema ha conosciuto di nuovo una impennata inquietante. Tra i fattori scatenanti il principale va messo sul conto della retorica incendiaria di Trump che ha sdoganato la violenza trovando in parte terreno fertile per i suoi farneticanti propositi di rivincita. Sull’esito delle mid-term grava dunque un’ipoteca pesantissima che finirebbe con aggravare la spaccatura della nazione se, per disavventura, dovessero prevalere le derive “trumpiane” ai danni della democrazia e la difesa dei diritti fondamentali.

 

SCONGIURI. In politica fare promesse è di una facilità irrisoria. Mantenerle molto meno. Nell’albo dei ricordi c’è un signore che sul milione di posti di lavoro ci ha campato un bel pezzo, inventandosi scenari inesistenti. Nell’euforia della vittoria, debordante dopo il lungo digiuno da Palazzo Chigi, la nuova maggioranza di promesse ne sta distribuendo in dosi industriali. Resta da capire quali saranno i punti di riferimento di questa visione con l’ambizione di durare per l’intera legislatura a quanto pare ispirandosi al modello conservatore. Limitandosi agli esecutivi della Seconda Repubblica in media i governi italiani sono rimasti in carica poco meno di due anni. Gli umori sono volubili. Basta poco, basta una raffica di vento e il veliero cambia direzione incurante del(la) timoniere. Gli alleati dovrebbero consigliare a Lady Giorgia di fare gli scongiuri.

 

PADRETERNO. Che potenza dissacrante la satira. Graffiante come pochi, Emilio Giannelli, vignettista di punta del Corriere della Sera, una volta ancora ha colto nel segno. In uno dei suoi più recenti contributi ha raffigurato Giorgia e Silvio con le dita che non si toccano come nella Cappella Sistina di Michelangelo. Fulminante l’ironico passaggio in cui l’autore fa dire a Silvio, rivolto a Giorgia: “Ricordati che il Padreterno sono io”. Che è, poi quanto è realmente accaduto. Geniale. Nella foga elettorale Berlusconi, celebrando il suo passato, ha provato infatti con ogni mezzo a proporsi quale Padreterno mentore e guida della coalizione. È stato il tentativo di prolungare una stagione, la sua stagione, ormai finita. Ora nella destra di stagione ne inizia una nuova, in un clima non privo di incognite.

 

AGONIA. Un secolo fa in Italia, in concomitanza con la marcia su Roma, la libertà entrò in agonia. E in quello stato comatoso e umiliante per l’intero Paese, ci restò per un periodo lunghissimo, rovinoso e carico di dolore Dalla stretta soffocante della dittatura le forze migliori della società, che a prezzo della vita mai smisero di lottare contro l’oppressione, ne usciranno soltanto dopo il crollo del regime fascista con il suo carico di delitti, orrori e rovine. Cento anni dopo le ombre nere di chi pensa che dopotutto Mussolini fece anche cose buone non sono sparite del tutto. Fare i conti col passato resta impresa ardua. Mistificare le “glorie imperiali”, avere reazioni ambigue sulle leggi razziali, denigrare la Resistenza, snobbare il 25 Aprile, definire obsoleto l’antifascismo, vanno in una direzione sbagliata e pericolosa. Di qui la necessità di non mai abbassare la guardia di fronte ai rigurgiti nostalgici.

 

PATRIMONIO. Da tempo immemore Italia e cultura sono un prezioso binomio inscindibile. Nella storia del sapere hanno rappresentato e tuttora rappresentano la meta prediletta di artisti, letterati e viaggiatori curiosi affascinati dalla ricchezza e dalle scoperte del Grand Tour. Da nord a sud la penisola è uno scrigno di bellezze inestimabili unico al mondo e un pregevole collante dell’unità nazionale. Un patrimonio da preservare e da proteggere dalle sgradite e interessate incursioni della politica delle poltrone. Il nuovo governo, il più a destra del duemila, può piacere o meno e a noi non piace particolarmente. Tuttavia sarà interessante vederlo alla prova su un tema tanto sensibile e che purtroppo non ha occupato un posto di rilievo nella campagna elettorale dei vincitori. La sola sovranità che abbia un senso nobile e alto, da non confondere con gli squallidi slogan del sovranismo populista, è appunto quella della cultura quale faro dell’illuminismo e del progresso per l’intera umanità.

 

       

Politiche eco-sociali

A cura di Marco Morosini

 

Manifesto della

parsimonia per il 2050

 

Segnalo alle lettrici e ai lettori dell’ADL un post su come “Raddoppiare il benessere dimezzando energia, materiali e lavoro” apparso sul Blog di Beppe Grillo questa sera (mercoledì) poco prima delle cinque.

 

Per leggere (o ascoltare) il “Manifesto” cliccate qui: Parsimonia per il 2050

       

   

economia

 

Il peso del debito dei Paesi

poveri è insostenibile 

 

Il debito dei Paesi più poveri tra quelli in via di sviluppo è tornato a essere ad alto rischio. Lo afferma il recente studio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) intitolato “Avoiding: too little, too late”, si fa troppo poco e troppo tardi per evitarlo! Lo studio si riferisce a Paesi che rappresentano quasi il 18% della popolazione mondiale e il 50% delle persone che vivono in povertà estrema. Pur essendo ricchissimi di materie prime e di altre commodity alimentari, essi rappresentano un misero 3% del pil globale.

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all’economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Sarebbero 54 i Paesi in via di sviluppo che necessitano di una riduzione urgente del debito pubblico, pena una imminente catastrofe umanitaria, emigrazioni incontrollate e guerre di vario tipo: 25 sono nella regione sub sahariana, 10 nell’America Latina e nei Caraibi.

    L’aggravamento è dovuto al fatto che i suddetti Paesi emettono debito in dollari e, di conseguenza, subiscono le decisioni prese dagli Stati Uniti. Per esempio, l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed ha per loro un effetto negativo insostenibile. Da qualche tempo almeno 19 Paesi pagano interessi superiori del 10% rispetto a quelli dei Treasury bond.

    Queste obbligazioni sono in caduta libera con un deprezzamento del 40-60%. Se si considerano tutte le economie in via di sviluppo, ben 26, circa un terzo, sono classificate “rischio sostanziale, estremamente speculativo o insolvenza”. 

    Il peggioramento della loro situazione economica e sociale è confermato anche da un altro studio dell’Undp sul Multidimensional Poverty Index (mpi). Tale indice analizza la povertà combinando il livello del reddito pro capite con i diversi aspetti della vita quotidiana di persone in povertà: l’accesso all’istruzione e alla salute e lo standard di vita come alloggi, acqua potabile, servizi igienici ed elettricità.

    I dati di prima della pandemia e dell’impennata inflazionistica mostrano che 1,2 miliardi di persone in 111 Paesi vivono in condizioni di povertà multidimensional acuta. Questo è quasi il doppio del numero di chi è considerato povero perché ha un reddito inferiore a 1,90 dollari al giorno.

    L’analisi evidenzia che oltre il 50% delle persone povere (593 milioni) non ha elettricità e gas per cucinare; quasi il 40% dei poveri non ha accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici; più del 30% delle persone povere è privato contemporaneamente di cibo, combustibile per cucinare, servizi igienici e alloggio.

    La maggior parte delle persone povere multidimensional (83%) vive nell’Africa sub sahariana (579 milioni) e nell’Asia meridionale (385 milioni).

    L’Undp sostiene che la risposta del G20 sia del tutto inadeguata. Ricorda anche che, nella pandemia del 2020-2021, il G7 ha stanziato ben 16.000 miliardi di dollari. Lo stesso Fmi potrebbe espandere le sue linee di credito e accelerare la ricanalizzazione dei diritti speciali di prelievo. Perciò, volendo, “i problemi di liquidità non sono ingestibili”.

    Lo studio propone il coordinamento dei creditori, compresi quelli privati, e l’uso di clausole per le obbligazioni statali che mirino alla resilienza economica e fiscale. Si sostiene che in alcuni casi si debba cancellare il debito.

    Oggi mancano le assicurazioni finanziarie dei principali governi creditori per raggiungere un accordo. Perciò si proporrebbero i cosiddetti Brady Bonds, obbligazioni della durata di 30 anni, sostenute da Treasury bond, emesse negli anni ottanta dai Paesi in crisi per finanziare il debito con le banche commerciali. Si ricordi il default dell’Argentina.

    Il debito di questi Paesi è pesante per loro, non per il G20. Nel 2020, il debito dei 54 Paesi in considerazione (senza Argentina, Venezuela e Ucraina) era di 552 miliardi di dollari, 186 dei quali in mani private. Gli interessi ammontavano a 69 miliardi, 42 dei quali dovuti a privati.

    Il loro rapporto debito/pil nel 2022 è del 66,3%, sotto la media europea e di quello degli Usa. I Paesi poveri, però, non sono in grado di gestire il pagamento degli interessi e il rifinanziamento dei debiti.

    Sono cifre enormi ma i Paesi ricchi potrebbero affrontarle. D’altra parte, lo si fa in supporto dell’Ucraina. Secondo l’Institute for the World Economy di Kiel, in Germania, dal 24 gennaio al 3 di ottobre sono stati dati aiuti militari, finanziari e umanitari all’Ucraina pari a 94 miliardi di euro, dei quali 52 dagli Usa e 29 dall’Ue.

       

       

Su Radio Radicale

https://www.radioradicale.it/

 

Ci vuole Coraggio Per fare insieme un nuovo PD

 

Registrazione video dell’assemblea “Ci vuole Coraggio/Per fare insieme un nuovo PD”, svoltasi a Roma sabato 29 ottobre 2022. Evento organizzato da Partito Democratico e coordinato da Brando Benifei, capodelegazione del PD nel gruppo socialista al Parlamento Europeo. Vai all’audiovideo

 

Sono intervenuti: Brando Benifei (parlamentare europeo, PD), Pietro Bartolo (parlamentare europeo, PD), Luigi Iorio (coordinatore della Segreteria Nazionale, Partito Socialista Italiano), Irene Bregola (consigliere del Comune di Ferrara, Articolo Uno), David Rinaldi, Lorenzo Marinone (consigliere del Comune di Roma e delegato alle Politiche Giovanili, PD), Margherita Colonnello (assessore alle Politiche Sociali del Comune di Padova), Marco Lamperti (assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Monza, PD), Laura Sparavigna (consigliere del Comune di Firenze, PD), Caterina Cerroni (segretario nazionale dei Giovani Democratici, PD), Paolo Romano (segretario metropolitano dei Giovani Democratici di Milano, PD), Shady Alizadeh (membro della Direzione Nazionale, PD), Davide Ragone (consigliere del Presidente Commissione Finanze del Senato della Repubblica, PD), Tommaso Bori (consigliere della Regione Umbria, PD), Domenico Rossi (vice presidente della Commissione Sanità del Consiglio Regionale del Piemonte, PD), Jacopo Scandella (consigliere regionale della Lombardia, PD), Michele Albiani (consigliere del Consiglio Comunale di Milano, PD), Irene Pirotta (consigliere del Comune di Pordenone, PD), Annamaria Abbafati (segretaria del Circolo del PD di Bruxelles), Federico Quadrelli (segretario di Berlino, PD), Guglielmo Agolino (componente dell’Assemblea Nazionale, PD), Marco Cavaliere (vice segretario del Circolo del PD del Centro Storico di Napoli), Antonio Boccuzzi, Rachele Scarpa (deputato, PD), Sofia Di Patrizi (componente della Segreteria del PD di Genova), Gaia Romani (assessore ai Servizi Civici e Generali del Comune di Milano, PD), Katia Piccardo (sindaco del Comune di Rossiglione), Ludovica Cioria (vice presidente del Consiglio Comunale di Torino, PD), Aron Chaudary (direttore creativo della Campagna Elettorale di Bernie Sanders), Marzia Buonaroti, Silvia De Dea (responsabile comunicazione del PD Milano, PD), Davide Montanaro (avvocato ed esperto di comunicazione politica, PD), Paolo Danzi (fondatore della pagina Sapore di Male), Mattia Angeleri (fondatore della pagina Aggiornamenti quotidiani della Terza Repubblica), Lorenzo Pavanello (promotore della Campagna 20:30), Gabriele Giudici (segretario provinciale dei Giovani Democratici di Bergamo, PD), Federica Sanna (vice sindaco del Comune di Piossasco, PD), Aurora Lessi (segretaria dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Savona), Stefano Vanzini (vice segretario del PD di Latina), Stefano Minerva (sindaco del Comune di Gallipoli, PD), Antonio Rizzo (sindaco del Comune di Viggianello), Daniela Vella (vice sindaco del Comune di Bagheria), Lorenzo Pacini (consigliere del Municipio I del Comune di Milano, PD), Bruno Concas, Vittorio Ciarcia (vice segretario provinciale del PD di Avellino), Antonio Foti Valente, Massimo Iovine (segretario dei Giovani Democratici di Venezia, PD), Giovanni Zannola (consigliere del Comune di Roma, PD), Federica Venturelli (consigliere del Comune di Modena, PD), Daniele Di Lucrezia (consigliere del Comune di Merano, PD), Francesco Raspini (consigliere del Comune di Lucca, PD), Emanuele Vitale (assessore al Bilancio del Comune di Baveno), Stefano Albano (consigliere del Comune dell’Aquila, PD), Vincenzo Covelli, Adolfo Fortunato (segretario del Circolo del PD di Pontecagnano), Manfredi Germanà (portavoce dei Giovani Democratici di Palermo, PD).

 

La registrazione video dell’assemblea ha una durata di 5 ore e 20 minuti.

       

     

Dall’Avanti! della Domenica

 

Maraio: “I socialisti ricompongano la

diaspora, la bussola è la socialdemocrazia”

 

Intervista di Carlo Pecoraro

 

Al Consiglio nazionale del Psi, convocato la scorsa domenica per analizzare l’esito del voto del 25 settembre, passa a larga maggioranza la relazione del segretario nazionale Enzo Maraio, ma non senza fibrillazioni. Una discussione franca con toni accesi e porte sbattute, tanto che un gruppo di dirigenti guidati da Nencini hanno abbandonato i lavori in contrasto con la linea del segretario, trascinandosi altri membri del consiglio. In pratica, a soli tre mesi dal congresso nazionale che ha rieletto, all’unanimità, Maraio alla guida del partito, una parte della dirigenza, sull’onda lunga della sconfitta elettorale, ne avrebbe voluto uno straordinario. Si è innescata così la miccia e una discussione interna si è trasformata in una notizia da dare in pasto ai social.

    Segretario cosa è successo durante la riunione del Consiglio Nazionale?

    “È stata una discussione davvero interessante sul piano politico, e in alcuni casi con toni forti e accesi. Ci sono state provocazioni e condotte che non hanno molto a che fare con la politica. Inviare video fuori da quell’aula è stato un comportamento deludente e dannoso: sono sempre dell’idea che i panni sporchi si lavino in famiglia e che bisogna mantenere, tutti – sottolineo, proprio tutti –  un atteggiamento che non deve mai superare certi limiti. Voglio dire con chiarezza che ho condannato e condanno ogni forma di violenza, semmai vi fosse stata. Se abbiamo a cuore il partito, bisogna utilizzare, come metodo di confronto, il dialogo. Altrimenti diventa un ring. Dobbiamo incassare una sconfitta bruciante e rimboccarci le maniche. Al di là della nostra discussione interna, che pure va risolta, bisogna ora armare una opposizione che sia credibile e capace di tenere testa a questa destra”

    Una destra che non perde tempo. Sono oltre 500 i progetti di legge depositati in questo inizio legislatura alla Camera e al Senato, ma tra quelli che fanno discutere c’è senz’altro quello presentato dal senatore di Fi Maurizio Gasparri che punta a modificare il riconoscimento della capacità giuridica del concepito.

    “Lo sapevamo già. È proprio sui diritti civili che questa destra vorrebbe mettere mano perché sa di poterlo fare in tempi rapidi, non avendo chiara la politica economica da mettere in campo. Un disegno di legge “anti-abortista” che è un insulto all’Italia libera. Vedo, nel gesto di Gasparri, una buona dose di provocazione, un gesto simbolico di inizio legislatura, insomma. Ovunque approdi quella proposta, sono tempi duri per i diritti civili”

    Ritorniamo alle questioni di casa nostra. Al Consiglio nazionale sei stato fermo: “nessuno ha intenzione di ammainare la nostra bandiera”. Come se ne esce?

    “Pertini diceva che “se metti due socialisti in un’isola deserta, essi formeranno due correnti diverse”. A parte gli scherzi, credo serva che tutti remiamo nella stessa direzione se quella bandiera vogliamo farla sventolare più in alto. Il Consiglio nazionale è il massimo organo di partito, il luogo dove ci si confronta. Non ho accettato che si facessero, come ho detto, riunione ristrette che avrebbero inficiato il dibattito, perché il partito non è né mio né di qualche altro dirigente, ma è di tutti i socialisti, di ogni iscritto. E insieme a loro sarà necessario lavorare per rilanciare la nostra azione politica”.  (…)

    C’è chi tra le righe ammicca alle politiche liberiste francesi, che tradotto in soldoni sarebbe guardare al terzo polo di Calenda e Renzi in Italia.

    “Non credo si possa considerare quella la strada del Psi. E francamente non sono neanche così convinto che qualcuno pensi davvero di far parte di un progetto elettorale che si sta già sfaldando – Renzi, ad esempio, non si è recato al Quirinale per le consultazioni – composto da due forze politiche appena nate, con due leader ego-riferiti, i cui partiti cercano di coprire lo spazio di un’area di centrodestra e in Europa sono membri di Renew Europe. Su Calenda mi sono già ampiamente espresso. Ricordo che fu l’unico leader di partito che non si presentò al nostro congresso, uno schiaffo all’intera comunità socialista italiana. In questi mesi poi lo abbiamo conosciuto meglio. Le sue giravolte repentine e le posizioni assunte in campagna elettorale pongono una distanza ampia tra noi e il Terzo Polo. Mi sembrerebbe imbarazzante per noi, il solo pensiero di guadare a quell’area come una via d’uscita dalla crisi della sinistra”.

 (…)

    E qual è l’approdo?

    “La nostra bussola è una grande area socialdemocratica in Italia, alla quale guardare insieme ai compagni che proveremo a riunire con questi grandi appuntamenti che spero ci vedranno uniti una volta per tutte. Il Pd e gli altri partiti di centrosinistra sono stati miopi rispetto a questa che è l’unica prospettiva possibile per ritornare a rappresentare un pezzo di Italia che non si sente difeso dalla sinistra. Mi rivolgo a loro chiedendo di sposare un progetto che noi riteniamo moderno e europeo.  Dopo la sconfitta alle elezioni politiche credo che sia arrivato il momento di affrontare una discussione più ampia per rilanciare l’azione di una idea necessaria alla vita del Paese”.

    Occorre cioè un restyling del centrosinistra?

    “Sì, ma che non sia solo di facciata. Tutti i partiti di centrosinistra hanno iniziato, al loro interno, un confronto su come uscire dal pantano. Noi non parteciperemo al congresso del Pd, sono dinamiche che non riguardano il nostro partito, lo ribadisco in modo chiaro. Dobbiamo prepararci ad affrontare una nuova stagione e farlo in questo tempo che è tra i più difficili, perché abbiamo uno dei governi più a destra della storia e noi dobbiamo difendere i diritti e le libertà. È necessario ripartire dalle libertà, dal welfare, dalla giustizia sociale e dalla lotta alle disuguaglianze. E abbiamo bisogno di tutti per ripartire. Noi, la strada, l’abbiamo indicata”. (testo integrale su Il Riformista)

       

  

Politica – Da La Rivoluzione Democratica

 

LA NUOVA MARCIA

 

Alla fine, l’imprevedibile è diventato realtà. Nei giorni della Marcia su Roma, gli eredi del Msi sono entrati a Palazzo Chigi. Le riflessioni storiche stimolate dal centenario dello squadrismo trionfante hanno lasciato il posto alla stupefatta analisi del presente. Come se un vecchio documentario in bianco e nero fosse all’improvviso diventato a colori, facendo vedere che a piazzale Loreto non era finito proprio niente e che i figli dei figli hanno continuato ad alimentare la fiamma sul cenotafio del Duce fino a renderla abbagliante.

 

di Marco Cianca

 

Scriveva Giorgio Pisanò, nell’introduzione ad una raccolta di scritti mussoliniani: “Privato della guida di Mussolini e degli uomini che sarebbero stato in grado di continuarne l’azione, il fascismo è sopravvissuto essenzialmente come patrimonio dei singoli in attesa che dalle nuove generazioni sorgano altri quadri politici. Saranno questi che, traendo ispirazione dal pensiero di Mussolini e dall’esperienza conclusiva della Repubblica sociale, ricondurranno il popolo italiano sui binari della vera libertà e della giustizia sociale”. Era il 1967, non tanto tempo fa. La violenza nera che aggrediva le lotte operaie e studentesche veniva affrontata essenzialmente come un problema di ordine pubblico. Le richieste di scioglimento del Movimento sociale erano respinte con il ragionamento che non si poteva mettere al bando un intero partito capace, nelle elezioni politiche del 1972, di sfiorare i tre milioni di voti. Lo stesso Pci, timoroso di scatenare al contrario un’ondata di anticomunismo, non ha mai preso sul serio una tale esigenza.

    La verità è che questa sorta di riserva indiana non faceva davvero paura e anzi la Dc continuava a considerarla una possibile stampella, come era avvenuto nel 1960 con la sciagurata esperienza del governo Tambroni.

    E così la talpa, tra complicità, connivenze, furbizie, miopie, ha continuato a scavare. Poi è arrivato Silvio Berlusconi, la storia e la memoria sono finite in lavatrice, insieme con i cervelli degli italiani. Lo sdoganamento apparve una scelta ormai matura, una mossa inevitabile, e il percorso di Gianfranco Fini, mentre i grandi partiti finivano sotto le macerie di Tangentopoli, sembrava avviarsi su un percorso virtuoso: il congresso di Fiuggi, la nascita di An, il giudizio “sul male assoluto”. Ma l’intricata vicenda della casa di Montecarlo oscurò il nuovo astro politico e il processo di rielaborazione ideologica finì in soffitta. La trasformazione delle vecchie nostalgie in un moderno conservatorismo, ammesso che fosse un intento sincero, non ebbe seguito, nonostante i lodevoli sforzi di Giuseppe Tatarella e Domenico Fisichella.

    La talpa riprende il suo lavoro. Nel 2012 arrivano i Fratelli d’Italia, quasi nell’indifferenza generale. L’attenzione era tutta concentrata sull’avventura dell’esecutivo guidato da Mario Monti e i tormenti della destra estrema interessavano poco. Eppure, di fatto, veniva ripristinato il cordone ombelicale con il Msi, mettendo tra parentesi l’esperienza di Alleanza nazionale. Più Almirante che Fini.

    Noi guardiamo al futuro, non rinvanghiamo il passato, assicuravano i fondatori, in prima fila Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Ora lei è presidente del consiglio, lui la seconda carica dello Stato. “Non rinnegare, non restaurare”, ripeteva Augusto De Marsanich. Una capacità mimetica che esclude pentimenti e autocritiche.

    Non ho simpatia o vicinanza con i regimi totalitari, fascismo compreso, ha detto per la verità lei nel primo discorso alla Camera. Forse è in buona fede, forse si è autoconvinta, forse non ha le idee chiare. E in ogni caso Parigi val bene una messa. L’aula non risulta sorda e grigia ma, al contrario, suscita “emozione e rispetto”. Le leggi razziali vengono bollate come “il punto più basso” della nostra storia, “una vergogna” che ci segnerà per sempre. Il giudizio è perentorio. Ma, diciamolo, sarebbe davvero fuori di ogni logica sostenere il contrario. E non si può nemmeno tacere o far finta di niente, una volta che sei arrivata lì.

    Meglio così, comunque. Il colore blu di tailleur e giacche sa di elegante conformità, altro che labari, orbace e divise. I sorrisi e i convenevoli condiscono di gentilezza il cambio delle poltrone. Abbracci e cordiali strette di mano, i saluti romani non si fanno nemmeno per scherzo. Tutto nella norma, sembrerebbe. È solo la nascita di un nuovo esecutivo, il sessantottesimo dell’era repubblicana.

    Eppure, il linguaggio, la retorica, e persino la postura, un’altra parola ora di moda e che evoca le statue del Ventennio, sanno di intolleranza e hanno un qualcosa di minaccioso, se non proprio di violento. Contrapporre, e privilegiare, la democrazia “decidente”, venduta come presidenzialismo, rispetto a quella “interloquente” significa negare la necessità compromissoria e inclusiva che rappresenta il sale di una società aperta ed è alla base del parlamentarismo. Ci si può riempire la bocca con il termine “libertà” avendo però in mente la dittatura della maggioranza.

    Quale maggioranza, poi? In base all’ignobile legge elettorale in vigore, figlia del Pd renziano, Fdl si è imposta, ha ricordato proprio in questi giorni Ilvo Diamanti, con il 26 per cento dei votanti, cioè il 17 per cento degli elettori.

    Dio, Patria e Famiglia. Autarchia, nazionalismo, tradizione. Ordine, disciplina, gerarchia. Guai ai diversi e ai traditori! La normalità, concetto quanto mai falso e artefatto, non prevede diserzioni. L’uguaglianza non viene intesa come universale similitudine, fratellanza globale, ma come gabbia tribale.

    La meritocrazia, invece di aiuto e riconoscimento di chi avrebbe capacità ma non è in grado di esprimerle, può essere declinata come subordinazione, affidabilità, omologazione. Se fai il bravo, ti premio. I cattivi dietro la lavagna. E il padronato stia tranquillo: “Non disturberemo chi vuole fare”. Un giorno, speriamo, verranno svelati gli l’interessi della grande imprenditoria rispetto ai miliardi del Pnrr. E qualcuno, speriamo ancora, racconterà quanto questi interessi abbiano o meno determinato il succedersi dei governi, dal Conte due alla situazione attuale passando per Draghi.

    Una lettura di classe di quel che sta avvenendo non fa male. La tassa piatta mina già da programma la progressività fiscale. Rottamazioni e condoni confermeranno la stupidità di fedeltà e onestà fiscale. Una spruzzata di corporativismo potrebbe illudere professionisti, artigiani, commercianti. I forti gioiscono, i deboli tremano. La posizione e le alleanze in Europa restano tutte da chiarire. E l’ipocrisia la fa da sovrana.

    Cent’anni dopo, la nuova marcia su Roma non avviene con i manganelli degli squadristi, non esalta propositi eversivi, non rompe la testa degli oppositori, non devasta le loro sedi. Segue i canali istituzionali, non vìola le regole del sistema, anche se promette modifiche estese e profonde. Ha il volto delicato di una donna, la prima presidente del consiglio. Ma loro sono lì, nella stanza dei bottoni. Vestali e sacerdoti della fiamma tricolore.

           

 

da >>> TERZO GIORNALE

https://www.terzogiornale.it/

 

Leggi melonissime?

 

di Rino Genovese

 

Primo decreto legge, ieri 31 ottobre, e prima conferma del giro di vite che un governo in camicia un po’ bianca e un po’ nera intende dare al Paese (alla “nazione”, come usa dire il presidente del Consiglio, senza rendersi conto della ridicolaggine dell’articolo maschile). Si tratta di un decreto cosiddetto “omnibus”, che contiene cioè un po’ di tutto – secondo una ormai consolidata, per quanto deprecabile, tradizione –, ma il punto ovviamente non è questo, quanto piuttosto il suo contenuto. Viene introdotta una nuova fattispecie di reato: quella del delitto di rave party, si potrebbe dire. Pene severissime per chi organizza feste o raduni con più di cinquanta persone in aree di ogni tipo, anche dismesse: il che potrebbe includere, a discrezione di prefetti o organi di polizia, qualsiasi occupazione di suolo pubblico o privato – anche quelle, eventualmente, a fini di recupero sociale. Nello specifico, si tratterà di vedere come sarà tradotto in legge il decreto, ma le premesse appaiono pessime. (continua sul sito)

        

              

LAVORO E DIRITTI a cura di www.collettiva.it

 

Emergency:

«In Ucraina tacciano le armi»

 

La presidente di Emergency Italia Rossella Miccio: “Invitiamo tutti, al di là delle appartenenze politiche, a partecipare alla manifestazione per la pace del 5 novembre” – Un’intervista di Davide Orecchio

 

Il 5 novembre in piazza per dare un futuro alla pace: “Abbiamo sentito con forza la necessità di tornare in piazza contro la guerra tra Russia e Ucraina”. Rossella Miccio, presidente di Emergency, una delle tante associazioni che hanno promosso la manifestazione per la pace del prossimo 5 novembre, parla con pacatezza ma senza nascondere un sentimento di allarme. Ed enumera le molte ragioni che riporteranno sulle strade di Roma il movimento che si raccoglie attorno alla rete di Europe for peace: “L’escalation delle ultime settimane, la minaccia di ricorrere alle armi nucleari, l’allargamento ad altri Paesi del conflitto, il fatto che sono passati nove mesi e nulla è cambiato, nulla è migliorato. Al contrario, la strategia adottata finora da Usa ed Europa, impegnate quasi esclusivamente nel supporto finanziario e nell’invio di armi all’Ucraina, oltre che nell’aiuto ai profughi, non ha reso il conflitto meno duro o meno breve. Non si vedono proposte all’orizzonte. Dunque è importante far sentire la voce delle tantissime persone che, nel nostro Paese, chiedono una svolta”.

    Quanto è concreto il rischio di un’escalation nucleare?

    Rossella Miccio: Già mesi fa gli scienziati del Bulletin of atomic scientist avevano posto a soli 100 secondi la distanza dalla “mezzanotte nucleare”. Adesso, vista la drammatica incapacità della politica mondiale di gestire la crisi, il rischio è diventato enorme. Non dimentichiamo che nell’area di quel conflitto c’è anche la centrale nucleare più grande d’Europa. Un qualsiasi errore bellico che la colpisse avrebbe conseguenze devastanti.

    Insomma è una guerra mossa da apprendisti stregoni?

    Rossella Miccio: L’aveva già spiegato Albert Einstein nel lontano 1932: la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire. Se prendi la via delle armi, sei destinato a perdere il controllo di quanto hai scatenato. Ripeto: siamo delusi dal fatto che gli unici impegni presi fino ad ora siano stati di carattere militare, per l’Italia e per l’Europa, al di là dell’accoglienza offerta ai profughi ucraini.

 

(continua sul sito)

       

                           

Dall’Avanti! milanese

https://avanti.centrobrera.it/

 

Una “morte bianca”

eccellente di Mani Pulite

 

Trent’anni orsono è scomparso il compagno Vincenzo Balzamo.

 

In attesa dell’interrogatorio con Di Pietro, morì d’infarto

 

Trent’anni orsono è scomparso il compagno Vincenzo Balzamo. Parlamentare dal 1972 al 1992. Eletto nel collegio di Brescia-Bergamo. Ministro della Repubblica alla Ricerca scientifica e ai Trasporti. Capogruppo alla Camera dei deputati e Amministratore del Partito Socialista Italiano.

    Iscritto al partito dal 1949, venne notato da Rodolfo Morandi, il dirigente che si pose il problema di ricostruire l’apparato del partito. Nel 1959 conquistò la segreteria nazionale del movimento giovanile socialista, trasformato poi in Fgsi. Dopo un periodo trascorso a Napoli come corrispondente dell'”Avanti!”, è stato fondatore e direttore del quindicinale “La Conquista”. Inoltre ha collaborato alla realizzazione di “Critica Sociale”.

    Venne eletto parlamentare della circoscrizione Brescia-Bergamo dal 1972. Successivamente venne rieletto per altre cinque legislature, l’ultima nel 1992. Brescia era per lui una seconda casa.

    Il 14 ottobre 1992, in piena Tangentopoli, ricevette un avviso di garanzia dai giudici milanesi nel corso dell’inchiesta Mani Pulite, in cui gli si contestò di aver violato la legge sul finanziamento pubblico dei partiti e di essere stato, per la carica che ricopriva all’interno del partito, il destinatario delle tangenti riservate al Partito Socialista.

    Colpito da infarto miocardico esteso ed operato d’urgenza il 26 ottobre, Balzamo morì all’Ospedale San Raffaele di Milano la mattina del 2 novembre 1992 all’età di 63 anni, prima che potesse iniziare un processo nei suoi confronti. I funerali si svolsero il 4 novembre a Roma nella Chiesa di San Pio X alla Balduina, alla presenza di Bettino Craxi, del sindaco della capitale Franco Carraro, dei presidenti delle Camere Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini.

    Uomo di grande dedizione alla causa delle riforme che rinnovarono il Paese. La sua fu una vita interamente dedicata alla politica e alla famiglia.

    Sempre attento alla difesa dei deboli e agli emarginati. Ci manca molto.

    I Compagni di Brescia e di Bergamo lo ricordano con affetto ancora oggi.

       

        

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Intellettuali in fuga dall’Italia fascista

 

Su Intellettuali in fuga dall’Italia fascista, è stata pubblicata on line la “vita in movimento” di Carlo Rosselli, con il profilo biografico scritto da Elisa Signori, foto, mappa e timeline di mobilità, reti familiari (clicca qui).

 

Il sito web https://intellettualinfuga.fupress.com/, diretto dalla storica Patrizia Guarnieri, individua nomi e volti di coloro che per motivi politici o razziali lasciarono l’Italia, e cerca di ricostruirne le storie anche poco note. È un lavoro in progress, ad accesso gratuito, promosso dall’Università di Firenze e dalla Regione Toscana, con il patrocinio di enti culturali stranieri ed italiani. Per rimanere aggiornati, si veda: https://intellettualinfuga.fupress.com/contenuti/265

            

    

Da Anbamed riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Iran – Arrivano le

prime condanne a morte

 

Arrivano le prime condanne a morte per le manifestazioni seguite alla morte di Mahsa Amini. Mohammed Ghobadlou, 22 anni, è stato condannato a morte da un tribunale di Teheran, con l’accusa di sedizione e rivolta contro il sistema della Repubblica islamica. Lo riporta un’organizzazione iraniana per i diritti umani con sede all’estero, citando i familiari del ragazzo. La procura di Teheran non ha ancora fornito informazioni ufficiali sul caso, ma il procuratore aveva annunciato una settimana fa che ci sarebbero state condanne a morte.

Malgrado questi sviluppi repressivi, le manifestazioni continuano. In 8 università, compresa quella della capitale, gli studenti hanno rifiutato di riprendere le lezioni prima del rilascio degli studenti arrestati e del reintegro di quelli espulsi.

 

Nota della red ADL – Di fronte a regimi misogini e liberticidi come quello iraniano, certo non il solo, il Governo Meloni continua a violare il Diritto del mare negando l’attracco ai nostri porti di navi umanitarie cariche di profughi e disperati.

    

                                     

Dalla FCLIS (Federazione delle Colonie Libere

Italiane in Svizzera*) riceviamo e rilanciamo

 

NO al Memorandum Italia Libia

 

Come quaranta organizzazioni umanitarie in Italia (vai al sito di Amnesty International) anche la FCLIS, storica organizzazione degli migranti italiani in Svizzera, ha chiesto i ritiro del “Memorandum della vergogna”, sottoscritto nel 2017 tra il governo italiano e quello libico allo scopo di impedire che migranti, rifugiati e richiedenti asilo raggiungano l’Europa. 

 

Se entro mercoledì 2 novembre il governo italiano non lo revocherà ufficialmente il Memorandum Italia Libia sarà prorogato automaticamente per altri tre anni.

    Sottoscritto per la prima volta nel febbraio 2017 il Memorandum è un accordo tra il governo italiano e quello libico per impedire che migranti, rifugiati e richiedenti asilo raggiungano l’Europa.

    Sulla carta, il Memorandum stabilisce che i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnino in «processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere», attraverso il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica, con fondi, mezzi e addestramento.

    Nei fatti, non solo stabilisce che si contribuisca direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini, ma anche al mantenimento dei centri di detenzione – formalmente e ipocritamente definiti «di accoglienza» – dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, se non abusate e addirittura uccise.

    Dal 2017 all’11 ottobre 2022, son quasi 100.000 gli uomini, le donne e i bambini intercettati nel Mediterraneo dai guardiacoste libici e riportati in un paese che non può essere considerato sicuro. Spesso arrestati, detenuti, sfruttati, privati di ogni diritto.

    Pertanto, se non sarà ufficialmente revocato, rinnovandosi automaticamente il Memorandum continuerà ad alimentare la spirale di violenze, torture, abusi e detenzione arbitraria a cui sono sottoposti uomini, donne e bambini che – alla ricerca di un futuro dignitoso, e spesso in fuga dalla fame, dalle guerre, dalla repressione da parte di regimi dittatoriali e dispotici – rimangono intrappolati in Libia, un paese devastato dal conflitto, dove l’illegalità e l’impunità consentono alle bande criminali di prosperare, o in Libia vengono respinti, dopo essere stati recuperati in mare.

    È necessario che i governi rimettano al centro la ricerca di soluzioni finalizzate alla tutela della vita delle persone e del diritto internazionale che ne è garanzia. Altrettanto urgente è un programma efficace di ricerca e salvataggio in mare a livello europeo, come pure che si prevedano canali di ingresso regolari, in modo che le persone non siano più costrette ad affidarsi ai trafficanti.

    È dimostrato come i migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera libica e riportati forzatamente in Libia vengano rinchiusi nei centri di detenzione, in condizioni disumane, e siano sistematicamente sottoposti a torture, stupri e violenze. Quando tentano di opporsi al ritorno in Libia, gli ufficiali libici non esitano a sparare e a uccidere.

    Come dichiarato dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea nonché dalla stessa magistratura italiana, la Libia non può in alcun modo essere considerato un Paese sicuro e dunque le persone che tentano di fuggire non possono essere rimandate in quel Paese. Lo vietano il diritto internazionale e la nostra Costituzione.

    Inoltre, il rapporto Out of Libya – pubblicato a giugno 2022 da Amnesty International – evidenzia i punti deboli dei meccanismi di protezione per le persone bloccate in Libia.

    I pochi canali legali verso paesi sicuri messi a punto da UNHCR e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) sono lenti e restrittivi.

    Vi possono accedere solo le persone di 9 nazionalità, e l’accesso alla registrazione è quasi inesistente al di fuori di Tripoli e nei centri di detenzione e i posti di ricollocamento nei paesi di destinazione sono limitati. Delle circa 40.000 persone registrate con il programma di ricollocamento dell’UNHCR, solo 1.662 hanno lasciato la Libia lo scorso anno, mentre 3.000 sono partite con il programma di rimpatrio volontario dell’OIM. Circa 600.000 migranti vivono attualmente in Libia.

 

*) La FCLIS (Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera), nata in contrapposizione al regime fascista fra i migranti e dai migranti, si impegna da sempre per la tutela dei loro diritti all’insegna di processi inclusivi di integrazione. La sua storia si è consolidata nelle vicende della emigrazione italiana, e si riconosce nella rete dell’associazionismo accogliente e solidale che chiede la revoca del Memorandum.

       

                

UNA LETTERA DI PROTESTA

 

La Tempesta Vaia e il Giro d’Italia

 

Sarà contento come una pasqua il governatore friulano Fedriga per aver portato il Giro d’Italia sul Monte Lussari, presso Tarvisio, utilizzando i fondi destinati alla Tempesta Vaia

    Oltre che con il Centenario della Marcia su Roma, il 28 ottobre coincide con un altro tragico evento. Sono trascorsi infatti quattro anni dalla Tempesta Vaia, il disastroso evento che, abbattendo al suolo intere foreste delle Alpi Orientali, ci mise una volta di più davanti alle terribili conseguenze dei cambiamenti climatici. Particolarmente colpiti furono i territori del Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Qualcuno ricorderà anche le dichiarazioni di Matteo Salvini, all’epoca Ministro dell’Interno, che non trovò di meglio che prendersela con quelli che definì “ambientalisti da salotto”.

    Una decina di giorni prima di questo anniversario, esattamente il 17 ottobre, è stato invece presentato a Milano il tracciato della prossima edizione del Giro ciclistico d’Italia. Cosa hanno in comune questi due eventi, in apparenza così distanti? Semplice: il fatto che la Regione Friuli Venezia Giulia, guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, per poter ospitare la penultima tappa della “corsa rosa” – una “cronoscalata” da Tarvisio al Monte Santo di Lussari – non ha esitato a spendere circa 5 milioni di euro per riadattare e rendere percorribile dai ciclisti (evitando che forino le gomme) una vecchia strada militare, normalmente interdetta al transito di veicoli a motore. Per farlo ha fatto intervenire la Protezione Civile Regionale e ha utilizzato i fondi ricevuti dallo Stato per il ripristino dei danni di Vaia, evitando così fastidiose procedure di valutazione ambientale, norme per l’aggiudicazione dei lavori ed altri lacci e lacciuoli burocratici.

    Il bellissimo borgo del Lussari si trova ad un’altitudine di 1750 metri, è sorto attorno ad un Santuario mariano ed è stato dichiarato di “notevole interesse pubblico” con un Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione che risale al maggio 1956. È raggiungibile solo a piedi o – nei mesi estivi ed invernali – in funivia (da qui parte una pista da sci che ha ospitato anche gare della Coppa del Mondo Femminile). Da secoli è meta di pellegrini che giungono dalle tre aree culturali e linguistiche che qui confluiscono – latina, tedesca e slava – tanto da essere considerato un “simbolo di fraternità europea”. Tutti aspetti che mal si conciliano con l’afflusso contemporaneo di migliaia di tifosi al seguito della Carovana del Giro (gli organizzatori parlano di 15-20.000 spettatori) e con i suoi effetti collaterali, compresi distribuzione di bibite in contenitori usa e getta, abbandono di rifiuti, altoparlanti a pieno volume e premiazione sul palco con (in ogni caso deprecabile) sversamento di spumante a due passi dal Santuario.

    È bene chiarire, anche per tagliare il passo a possibili giustificazioni, che in questa zona non sono caduti alberi e non ci sono stati danni provocati dalla Tempesta Vaia e che questo, purtroppo – come hanno denunciato il CAI e le associazioni ambientaliste – non è il primo né l’ultimo caso di utilizzo “disinvolto” dei fondi della Protezione Civile da parte della coalizione di centro-destra che amministra la Regione Friuli Venezia Giulia.

    Proprio in queste settimane gli uffici che si occupano della comunicazione per conto della Giunta Fedriga hanno tappezzato le città ed i paesi con dei manifesti che vorrebbero esaltare l’orgoglio di appartenere a questo territorio. Lo slogan, utilizzato sotto le immagini di artigiani intraprendenti, maestranze operose, agricoltori soddisfatti, tecnici efficienti e famigliole tradizionali felici è; “IO SONO FRIULI VENEZIA GIULIA”. Ne manca una: la foto di un Massimiliano Fedriga sorridente e contento per aver portato il Giro d’Italia sul Monte Lussari utilizzando i fondi destinati alla Tempesta Vaia.

 

Marco Lepre, Tolmezzo (UD)

       

 

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

    

    

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