L’ADL del 20 ottobre 2022

L’Avvenire dei lavoratori

20 ottobre 2022 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

 

If you want Unsubscribe, please send us a mail to unsubscribe_adl@vtxmail.ch. Thank you!

Chi desideri DISISCRIVERSI ci invii p.f. una email a unsubscribe_adl@vtxmail.ch. Grazie!

 

Conferma l’iscrizione, se non l’hai già fatto, inviando “includimi” a > red_adl@vtxmail.ch

 

GDPR – General Data Protection RegulationDal 25.5.2018 vige il Regolamento Europeo n. 679/2016I dati personali di nostre/i utenti si riducono al mero in­di­riz­zo e-mail, conservato nella lista di spedizione senza ulteriori conno­ta­zio­ni e senz’alcuna possibilità di scambio o ces­sione verso terzi. Tutti i dati vengono conservati in ot­tem­pe­ran­za alla GDPR e utilizzati esclu­siva­mente per l’in­vio di comunicazioni ADL sulla politica, l’econo­mia e la cultura italiana e internazionale. Chi desideri continuare a ricevere L’ADL non deve fare nulla: in tal modo ci autorizza a proseguire le trasmissioni della nostra Newsletter all’indirizzo e-mail attuale. Chi non desideri più ricevere l’ADL è pregata/o di utilizzare la funzione UNSUBSCRIBE sotto la testata.

 

AVVERTENZA: PER “LAVORI IN CORSO” IL SITO WEB NON È AL MOMENTO DISPONIBILE

                     

EDITORIALE

 

Bella ciao

 

di Andrea Ermano 

 

incominciamo male. I due presidenti di Camera e Senato, Fontana e La Russa, non meno del cavalier Berlusconi, ci stanno facendo fare una bruttissima figura in Europa e nel mondo.

    Si dirà che dietro le risate a danno dell’Italia possiamo spesso intuire anche un interesse di potentati concorrenti, i quali, deridendo il nostro Paese, mirano a fiaccarne la concorrenzialità in vista di migliori riposizionamenti sui mercati globali.

    Ma queste sono le regole del gioco, baby, perché se non ti comporti bene, la gente tenderà a evitare il tuo negozio.

    E già lo si è visto. Basti ricordare che Berlusconi stava conducendo la nazione alla bancarotta, mentre andavano a gonfie vele le sue “feste eleganti” nelle ville d’Arcore e di Sardegna, con Putin in veste adamitica tra stuoli di belle ragazze. Alla fine al Governo di Roma sono dovuti intervenire i “tecnici”, da Mario Monti a Mario Draghi.

    Ma adesso si ricomincia. E gli scambi di vodka e le bottiglie di lambrusco e i biglietti carini di qua e di là.

    Come se non bastasse, sulle prime pagine dei giornali d’Occidente si assiste da giorni a una fioritura di sghignazzi circa la raccolta dei busti del “duce” nella casa di La Russa.

    Senza contare le posizioni di Fontana, al quale tutti i “diversi”, omosessuali e femministe pro choice incluse/i “fanno schifo”. Parole sue.

    Questo è in realtà l’aspetto più grave dell’involuzione politico-istituzionale in atto. La Nuova Autorità italiana ha collocato alla terza carica istituzionale un signore che discrimina indiscriminatamente una moltitudine di persone in quanto aventi orientamento sessuale diverso dal suo.

    Forse che la persona cessa di possedere eguale dignità umana a seconda dei gusti sessuali del grande presidente Fontana?

    Il quale, tra l’altro, risulta obiettivamente sconfessato da papa Francesco dato che questi ha ricevuto in Vaticano, proprio domenica scorsa, un gruppo di persone trans. Grande il loro apprezzamento per l’apertura della Santa Sede: “L’udienza a San Pietro ci fa sentire migliori”, hanno dichiarato. E noi, si parva licet, sottoscriviamo.

 

un bravo ragazzo. Veniamo ora a quella testa d’uovo, un po’ stagionata e forse anche un po’ disorientata, che risponde al nome di Enrico Letta. La sua scelta di non allearsi con l’M5S appare a tutt’oggi indecifrabile. (Ciò sia detto al netto di astuzie tattiche inarrivabili.) Ha regalato un trionfo di seggi parlamentari alle destre, senza che nel Paese si ravvisasse la benché minima ragione di opzionare una variante solitaria votata all’insuccesso.

    E però sulla mostruosa elezione della coppia La Russa/Fontana alla presidenza dei due rami del Parlamento italiano, bisogna dargli ragione, all’Enrico Letta: «La scelta che hanno fatto è quella peggiore per dare all’esterno messaggi rassicuranti. Danno un messaggio che conferma le peggiori preoccupazioni in giro per l’Europa. Io mi chiedo quale sia la logica perversa che c’è dietro queste nomine», ha dichiarato il segretario democrat, uscendo dalla recente riunione eurosocialista di Berlino.

    A voi parrà una dichiarazione scontata e persino all’acqua di rose. Non così alla Nuova Autorità italiana, la quale ha risposto (testuale):

    «Sono gravissime le parole di Letta a Berlino. Affermare all’estero che l’elezione dei presidenti delle Camere sia motivata da una “logica perversa” e “incendiaria” che conferma “le peggiori preoccupazioni in giro per l’Europa” è uno scandalo e rappresenta un danno per l’Italia».

    Gravissime parole?! Scandalo?! Leggo, rileggo e mi arrovello. Dove starebbe, esattamente, il “danno”: nel dirlo? o nel farlo?

    Volendo escludere l’ipotesi secondo cui per la Nuova Autorità italiana il capo dell’opposizione non avrebbe mai diritto di criticare le scelte della maggioranza, si può solo assumere che la critica non avrebbe dovuto essere pronunciata “all’estero”. Tipo: i panni sporchi si lavano in casa.

    Ma, che “all’estero” dilaghi l’inquietudine se e quando in Italia i neofascisti si appropinquano al potere, dovrebbe capirlo anche la Nuova Autorità italiana – qualora conservi un residuo di onestà intellettuale.

    E dunque?

    Dal (trascurabilissimo) punto di vista dell’emigrazione italiana appare assurdo voler autorizzare la critica – per esempio verso l’elezione di due politici di estrema destra alla seconda e alla terza carica dello Stato – se e solo se non ci si trovi all’estero.

    O dobbiamo chiedere scusa alla Nuova Autorità italiana d’essere emigrati? Il “nostro” Silone, che scrisse Fontamara dall’esilio e che dall’esilio diresse questo giornalino contro il regime, si starà rivoltando nella tomba…

 

Berlino interno giorno. I socialisti europei riuniti nella capitale tedesca scandiscono in coro “Bella ciao”. Non è una notizia? L’agenzia ANSA ne rilancia il video (vai al sito). Sullo sfondo si sente una cantante, la cui voce ricorda quella di Milva, intonare il celeberrimo inno della Resistenza italiana, mentre nel parterre del convegno si vede una folla di leader del Pse che accompagnano la melodia e battono ritmicamente le mani.

    A me non paiono lì in posa per uno spot. È gente che ha governato e/o governa molti paesi d’Europa. Non cantano tanto pe’ cantà e pe’ far la vita meno amara… No, non hanno l’aria di chi stia scherzando più di tanto. Né mi pare che stiano semplicemente ammonendo qualcuno. L’arte ermeneutica suggerisce: ecco una prima consegna di resistenza.

    Dopodiché, gli entusiasti della nostalgia italica dovrebbero tenere presente che, come ricorda Felice Besostri, l’effetto distorsivo di una sconsiderata legge elettorale detta “Rosatellum” attribuisce a queste destre il diritto di misurarsi con il governo del Paese. E va bene. Finché ci riescono…

    Ma sarà meglio per tutti se lo faranno con molto giudizio, perché non rappresentano la maggioranza nel Paese né riflettono i valori costituzionali. E se un domani gli capitasse di violare lo spirito repubblicano nato dalla Resistenza o finissero per turbare l’ordine democratico, nessuno potrà loro garantire una seconda amnistia come quella del 1945.

       

   

Il Circolo di Cultura Politica “G. E. Modigliani” 

e la Fondazione ESSMOI – Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani

 

ricordando Giuseppe Emanuele Modigliani

 

Nel 150° anniversario della nascita di Giuseppe Emanuele Modigliani. La Fondazione ESSMOI – Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani – e il Circolo di Cultura Politica “G. E. Modigliani” dedicano un Convegno alla famiglia Modigliani e alla Livorno ebraica, al ruolo delle donne e per una ricognizione sui valori di ieri e di quelli che possono aiutarci ad affrontare il futuro.

 

LIVORNO venerdì – 28 Ottobre 2022 Teatro GOLDONI – La Goldonetta

 

La partecipazione al Convegno è gratuita, prenotazione necessaria

 

ore 9,00 – Deposizione di un mazzo garofani al Busto di bronzo di G. E. Modigliani presso Villa Fabbricotti

 

ore 9,15 – Registrazione partecipanti

 

ore 9,30

Apertura dei lavori

 

Presiede

Maurizio VERNASSA, Presidente del Circolo “G. E. Modigliani”

 

Saluto dei Rappresentanti Istituzionali,

delle Fondazioni e delle Associazioni

 

La ‘riscoperta’ di Giuseppe Emanuele Modigliani

Valdo SPINI, Presidente Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane

 

Il mancato esilio americano di Modigliani

Paolo BAGNOLI, UNIFI

 

Gli ebrei a Livorno società libera

Bruno DI PORTO, UNIPI

 

Le donne ebree tra Ottocento e Novecento

Anna FOA, Storica, Presidente Fondazione ESSMOI Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani

 

Ore 13,00 – 14,30 – Servizio di CATERING

a cura del Caffè Palcoscenico

il Servizio di CATERING

è gratuito e aperto a tutti i partecipanti al Convegno

ma è necessario prenotarsi entro lunedì 24 ottobre

 

ore 15,00

Ripresa dei lavori

 

La ripresa di un antico progetto:

l’edizione francese di “Esilio” di Vera Funaro Modigliani

Brando FORNACIARI, Interprete Traduttore

 

La famiglia Modigliani ed il bagitto

Paolo Edoardo FORNACIARI, Curatore di Lettere ai Familiari, sillabe 2022

 

Lettura di brani tratti da Esilio di Vera Modigliani

Fiorella SCIARRETTA, Attrice / Regista

 

Modigliani e GL

Ariane LANDUYT, UNISI

  

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un’ampia e articolata riflessione di Marco Morosini, scienziato ambientalista, docente presso il Politecnico Federale di Zurigo, ispiratore indipendente del programma M5S e attento osservatore delle dinamiche socio-politiche italiane. 

 

Marco Morosini in un’intervista su RR

 

“OPERAZIONE MELONI”

 

Nel nostro Paese il partito “Fratelli d’Italia” ha vinto le elezioni del 25 settembre 2022 e dominerà il prossimo governo. La sua leader, Giorgia Meloni, è celebrata come il segno di un’egemonia dell’estrema destra cui si assocerebbe una ventata femminile, di gioventù e di novità. In realtà, è vero il contrario. Perché in Italia le destre sono in minoranza, il risultato elettorale mortifica la presenza e i diritti femminili, il potere maschile e senile in Parlamento è cresciuto. E al governo torna una coalizione vecchia di trent’anni, già tre volte fallita. In questo articolo propongo un’analisi dei presupposti, dei risultati e delle prospettive di quella che possiamo denominare “Operazione Meloni”.

 

di Marco Morosini

 

Egemonia delle destre? La coalizione delle tre destre è in minoranza nel Paese con il 44% dei voti contro il 49% dei suoi avversari di sinistra e di centro. Le destre avranno però il 59% dei parlamentari (352 su 600) grazie a una legge elettorale stravagante.

    I dodici milioni di voti per le destre non sono aumentati rispetto al 2018, ma la loro percentuale è salita dal 37% al 44% a causa dell’accresciuta astensione (dal 27 % al 36%). I voti espressi sono stati 28 milioni ossia il 64% degli aventi diritto e tra questi si contano 1,3 milioni di schede bianche o nulle (4,5%).

    Vera novità, all’interno della coalizione delle tre destre, è il travaso di voti da Lega e Forza Italia, collassate al 9% e rispettivamente all’8%, a favore di Fratelli d’Italia (26%). Su 51,3 milioni di aventi diritto solo 12,6 milioni (25%) hanno votato per la coalizione delle tre destre. E solo 7,3 milioni (il 14,6 % degli aventi diritto) hanno votato Fratelli d’Italia. Che è stato l’unico partito coerentemente all’opposizione di sei governi in undici anni. A questo, e non tanto a una accresciuta simpatia per il neofascismo, si deve in gran parte il successo di Meloni.

    Non è esatto dire, quindi, che “L’Italia va a destra”. Ci vanno, invece, questo sì, il Parlamento e il Governo. Di conseguenza, mentre i filofascisti rappresenterebbero a livello di popolazione meno di una persona su dieci, la mentalità neofascista dominerà la maggioranza parlamentare, il governo e la televisione statale RAI. Tutto ciò contribuirà nel Paese a ispirare leggi, linguaggio, comportamenti e cultura.

 

Una ventata femminile? Giorgia Meloni è l’unica donna tra i maggiori dirigenti di Fratelli d’Italia, un partito impregnato di mentalità patriarcale (“Dio Patria Famiglia”), nel cui esecutivo siedono solo cinque donne su ventiquattro membri. Si tratta del partito italiano più maschile e maschilista, con le più basse percentuali di donne tra i dirigenti, gli aderenti, gli elettori e i parlamentari (in Senato solo 4 su 21). I suoi programmi politici sono ostili alla discriminazione positiva di genere, al diritto all’aborto senza ostacoli, alla “lobby LGBT”, alla “ideologia di genere” – e vedono il dovere principale della donna nel partorire molti figli per contrastare la “crisi demografica”. Inoltre, la percentuale di donne in parlamento è diminuita rispetto al 2018 dal 35% al 32%.

 

Una ventata giovanile? Rispetto al 2018, l’età media dei deputati eletti è aumentata da 44 a 50 anni e la tradizionale gerontocrazia italiana si è aggravata: 86 anni, 81 anni e 75 anni sono infatti le età di Berlusconi, Bossi e La Russa (il nuovo presidente del Senato), i patriarchi delle destre vincenti. I tre potrebbero essere i nonni di Giorgia Meloni. Ora tornano da protagonisti in parlamento, dove siedono da più di trent’anni. In regia c’è di nuovo Berlusconi, l’uomo che con le sue televisioni e i suoi giornali ha lanciato in politica decine di giovani donne e molte ministre. Il suo partito Forza Italia ha pochi voti (8%), ma l’impero mediatico di Berlusconi ha molto contribuito al successo di Meloni e delle destre. Berlusconi sa che l’unica chance di diventare Presidente della Repubblica è quella di “portare al governo i fascisti“, come fece negli anni ‘90. È per questo che Berlusconi ha messo in campo a favore di Meloni il suo potere di propaganda: le tre principali emittenti televisive private e decine di giornali e riviste.

 

Una ventata di novità? La coalizione delle destre torna al potere per la quarta volta, dopo avere già governato per due, cinque e tre anni. Il nuovo governo sarà quindi la restaurazione dell’ancien régime di Silvio Berlusconi insieme ai “fascisti” (come pur li chiama) e a Matteo Salvini (Lega), ma questa volta sarà dominato da Fratelli d’Italia.

    I due registi dell’”Operazione Meloni” sono il nuovo presidente del Senato Senatore Ignazio Benito La Russa e Guido Crosetto. Quest’ultimo potrebbe essere il padre di Giorgia Meloni. I due hanno fatto gli studi universitari e hanno l’esperienza che manca a lei. Nel 2012 fondano Fratelli d’Italia, il partito che raccoglie l’eredità di sessant’anni di neofascismo italiano. Il loro profilo personale e la loro proposta politica sanno di vecchio. Allora hanno l’accortezza di far partecipare alla fondazione anche la 35enne Meloni. A buon conto, per due anni tengono per loro la carica di presidente. Quando capiscono che la figura più debole del trio potrebbe diventare la carta vincente si ritirano dietro le quinte, offrono la presidenza a Meloni, e mandano lei alla ribalta.

    Una fotografia simbolizza lo stato delle cose. In essa si vede una gracile Meloni trentenne in preda al riso, sdraiata e sollevata come una bambina nelle braccia di Guido Crosetto, simpatico King Kong piemontese che pesa il triplo di lei. La differenza di peso tra i due non è solo corporea. Crosetto, infatti, ha studiato economia, dagli anni ‘80 dirige l’azienda di famiglia, è stato sindaco di una città e presidente di un aeroporto. È in politica da trentacinque anni ed è stato parlamentare per quattordici anni. Soprattutto, Crosetto è stato sottosegretario alla difesa (2008-2011) sotto il ministro della difesa, il suo collega Ignazio Benito La Russa. Non sorprende, quindi, che Crosetto sia stato attivo nel business delle armi da guerra dirigendo l’azienda statale Orizzonte Sistemi Navali e la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza AIAD. In politica Crosetto fu democristiano negli anni ‘80 e poi membro del partito di Berlusconi. Gioviale e apprezzato dai media e anche dagli avversari, di lui non risultano idee fasciste.

    Il maggiore ispiratore del partito, però, è il Senatore Ignazio Benito La Russa, di 75 anni, patriarca del neofascismo italiano, in politica ormai da mezzo secolo. Il Senatore è titolare di uno studio di avvocati e capo di una sorta di “clan La Russa”, siciliano che da decenni intreccia poteri economici e politici.

    Del “clan” fece parte il padre Senatore Antonino La Russa, ex dirigente del Partito Nazionale Fascista e del Movimento Sociale Italiano MSI, e fa parte suo fratello Romano La Russa, già membro del MSI ed ex europarlamentare neofascista.

    Alcuni lo chiamano Lucifero per l’aspetto e la voce roca così platealmente “diabolici” che sono oggetto di parodie. La Russa stesso gioca su questo cliché luciferino che in qualche modo lo rende simpatico. Si vedano per esempio le sue sembianze da Rasputin in un comizio nel film Sbatti il mostro in prima pagina (1972). “Ignazio restava nell’ombra, le cose le faceva fare agli altri”, disse il collega Tomaso Staiti di Cuddia riferendosi al “giovedì nero“ del 13 aprile 1973 a Milano, la “manifestazione anticomunista” voluta dal MSI e da La Russa malgrado il divieto delle autorità. Durante violenti scontri con le forze dell’ordine i neofascisti devastarono un liceo e la Casa dello studente. Alcuni di loro lanciarono una bomba a mano che uccise l’agente di polizia Antonio Marino e ferì dodici poliziotti. Per il suo attivismo nelle manifestazioni “turbolente” degli anni ‘70 (gli “anni di piombo”) qualcuno chiamava La Russa “la Rissa” (inteso come zuffa e bagarre). Erano quegli anni ‘70 durante i quali alcuni militanti o simpatizzanti del MSI davano la caccia agli avversari armati di chiavi inglesi, coltelli o anche di armi da fuoco (omicidio di Walter Rossi, 1977).

    Mentre Meloni si presenta come un fiore appena sbocciato, La Russa simboleggia le radici profonde di Fratelli d’Italia. La sua militanza cominciò nel 1971 nel Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito fondato nel 1946 da Giorgio Almirante, ex dirigente fascista e collaboratore dei nazisti, ex caporedattore del giornale “La difesa della razza” («Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti», affermava). La Russa sostenne tutti i governi di Silvio Berlusconi e in uno di questi (2008-2011) fu Ministro della difesa, ossia responsabile delle forze armate, dei servizi segreti e dei carabinieri.

 

Lei stessa medesima – Giorgia Meloni è nata a Roma nel 1977, ha terminato gli studi a diciotto anni con un diploma di maturità in lingue. L’abbiamo sentita parlare in pubblico in buono Spagnolo, Inglese e Francese, il che rappresenta una novità per un personaggio politico italiano. Aspira a guidare il governo anche se non ha mai diretto un’azienda, un assessorato, un comune, una provincia, una regione o un ministero importante.

    Durante i comizi urla “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana!”. La frase è ormai leggenda, martellata a tempo di rap nel clip “Io sono Giorgia – Remix“, visualizzato tredici milioni di volte.

    “Giorgia” è diventato un vero brand. “Noi siamo Giorgia” è scritto su enormi cartelli ai suoi comizi. “Io sono Giorgia” è il titolo della sua autobiografia, con il suo ritratto in copertina. Anche sulla copertina del programma del partito c’è un suo ritratto seducente, come su una rivista di moda.

    Ecco, Meloni è essenzialmente “di moda”. Il programma del partito è lei. Nelle interviste su di lei le persone rispondono solitamente “Mi piace” anziché “Sono d’accordo”.

    Il successo di Meloni si fonda più sul numero delle sue fotografie che non su quello delle sue parole. Ogni giorno i media diffondono centinaia di fotografie fornite dal suo ufficio stampa che la ritraggono in pose accattivanti, molto spesso con un gran sorriso e uno sfondo di folla mentre si fa un selfie.

    Non di rado, nella versione in rete del principale giornale italiano, si contano una decina di fotografie di Meloni in un solo giorno. Questa esasperata personalizzazione dà l’impressione che l’Italia sia una Repubblica presidenziale, come la Francia o gli USA. Ma non è così, perché in Italia il popolo elegge parlamentari, non presidenti. (1/2 – Continua)

 

         

SPIGOLATURE

 

Pessima replica

delle “baruffe”

 

di Renzo Balmelli

 

RAMMENDO. Saper vincere o perdere le elezioni con stile è la prerogativa che nobilita il ricorso alle urne e rinsalda la fiducia di cittadine e cittadini. Non sempre funziona. Nel tumulto della corsa a Palazzo Chigi, in casa della destra è parso di assistere a una pessima replica delle goldoniane baruffe, animate da gelosie e sgambetti. La feroce, berlusconiana cartellina maliziosamente offerta alle telecamere ha poi segnato il punto più alto della tensione, al limite della rottura. Per rifarsi il look la nuova maggioranza è corsa a indossare in tutta fretta l’abito della presunta concordia ritrovata. La riconciliazione in zona Cesarini tuttavia non convince. Dà l’idea di essere piuttosto un rammendo dell’ultima ora per non presentarsi al Quirinale in ordine sparso dopo avere sistemato alla bell’e meglio le poltrone bollenti. L’impressione è che stia, invece, cominciando un’altra legislatura di battaglie e colpi bassi nonostante il cospicuo vantaggio dei vincitori. Con i sorrisi e gli abbracci a scopo mediatico magari si salvano le apparenze. Ma basterà? Alla luce di quanto si vede non sembra questo il clima ideale per varare il governo che promette la manna dal cielo. Il difficile è adesso.

 

MISSIONE. E la sinistra? Già, che fa quella strana cosa comunemente indicata col nome di “sinistra”, che alle elezioni non ha fornito una delle prove più esaltanti della sua storia. Secondo logica dovrebbe provare a ricompattarsi proprio ora che si trova all’ opposizione. Invece niente. Anzi, al contrario continua cocciutamente a dilaniarsi nella litigiosità che alla fine presenta un conto salatissimo. Eppure non ha demeritato quando era al governo e il voto all’estero lo ha confermato. Ma ripicche e vecchi rancori non sono certo il miglior viatico per risalire la china e recuperare i delusi. Senza indugi serve una svolta e con la svolta una leadership riconosciuta per uscire dagli equivoci muovendosi nel solco di una missione che presuppone un radicale, coraggioso cambio di paradigma. Il cambio che la riporti alle origini, quando sinistra voleva dire sinistra con tutta la sua forza dirompente al riparo dai galleggiamenti. Se non subito, i risultati non mancheranno.

 

GIALLO. Che l’esito delle elezioni uscisse dai confini nazionali e finisse con l’avere un riverbero sugli assetti internazionali era chiaro fin dall’inizio. A votare è andato un Paese importante sulla scacchiera geo-politica; un Paese che è la terza potenza economica dell’Ue e fra le prime a livello mondiale. Di conseguenza, se c’è un metro col quale le cancellerie valuteranno i primi passi del nascente esecutivo, sarà la politica estera. L’argomento è delicatissimo in questa fase turbata dalla guerra in Ucraina e dallo spettro del ricatto nucleare agitato da Mosca. E invece guarda che cosa vanno a combinare i protagonisti in cerca di notorietà. In circostanze difficili e complesse come quelle attuali, circostanze che richiedono prudenza, delicatezza diplomatica e solidarietà fra i vari attori impegnati a salvare la pace, arriva il colpo di scena. Un giallo in piena regola. Giusto per non farsi mancare nulla il Cav, che non è certo l’ultimo venuto nell’austera aula del Senato, ha annunciato di avere riallacciato i contatti con Putin di cui fu in passato grande amico. Se abbia agito da solo o previa consultazione con gli alleati non è chiaro. Qualunque sia il movente, è ovvio che il suo intervento, dopo una campagna in cui si è fatto un gran parlare di populismo sovranista e identitario, non passerà di certo inosservato nelle sedi appropriate malgrado le smentite a tempo di record. Da lì non si scappa!

 

AZALEA. Chi in fondo al cassetto conserva come una polverosa reliquia una copia del Libretto rosso di Mao si chiederà cosa resta della “Rivoluzione culturale” che incendiò la Cina. E che ad un certo punto parve galvanizzare i movimenti giovanili dell’occidente affascinati dal motto “metti un fiore sulla bocca del cannone”. Si seppe poi che non furono solo rose e fiori. Le tragiche esperienze nei campi di lavoro raccontate in Azalea rossa di Anchee Min evidenziano realtà molto lontane dalle narrazioni ufficiali. Però, e non lo si può negare, la Cina è andata avanti e quella di oggi, seppure al prezzo di vistose lacune nel campo dei diritti e della parità, è un colosso economico e iper tecnologico in gara perenne con l’America per il primato. Il Paese si muove sotto la guida di Xi Jinping, 69 anni, che al XX congresso del partito-stato consolida il suo potere con il terzo mandato di Presidente della Repubblica popolare e non esita a mostrare i muscoli per rivendicare l’annessione di Taiwan. Con la grazia orientaleggiante dei geroglifici si evitano i parallelismi con il “grande timoniere”. I miti non si toccano. Tuttavia se un tempo era l’immagine di Mao a dominare, oggi è evidente che la Cina del 2022 è la Cina di Xi. Diversa e uguale.

 

FOGLIE. Secondo Giulio Andreotti “il potere logora chi non ce l’ha”. È questo, senza alcun dubbio, l’aforisma più celebre dell’ex leader democristiano. A dire il vero la paternità gli viene contesa da Maurice de Tayllerand che l’avrebbe coniato un paio di secoli prima. Tutt’al al più si potrebbe obbiettare che la frase, chiunque ne sia l’autore, vale pure se declinata al contrario per affermare che “il potere logora anche chi ce l’ha”. Ne è un esempio attuale e lampante il destino toccato in sorte a Liz Truss, costretta a compiere una marcia indietro sulla sua politica fiscale per soli ricchi che non ha precedenti. L’attuale titolare del numero dieci di Downing Street tuttavia non è la sola a condividere i patemi d’animo del potere che in misura analoga chiamano in causa il partito conservatore dopo dodici anni di predominio. In questo arco di tempo i “tory” hanno visto cambiare parecchie volte la loro guida ed i loro ministri attraverso gestioni maldestre dell’economia, Brexit inclusa. Una somma di passi falsi che potrebbero rivelarsi fatali per la loro leadership. Insomma, chiedendo venia a Ungaretti per l’impropria citazione, stanno “come d’autunno sugli alberi le foglie”.

 

        

Da La Rivoluzione Democratica

 

ANALISI

 

Ci siamo sempre lamentati del fatto che ad ogni tornata elettorale “ciò che resta del centrosinistra” (adesso veramente poco) abbia sempre evitato di fare analisi politica sul voto. Se, però, l’analisi politica si deve ridurre ad addossare le colpe di una sconfitta – tragica e pericolosa come quella di queste ore che ha consegnato il Paese alla destra più estrema – ad un avversario (non ad un alleato!); allora è un bene non fare analisi politica.

 

di Ernesto Ricci

 

La riflessione sulla sconfitta fatta dal Segretario (per acclamazione e non per congresso) del PD è stata vergognosa; non solo perché ha ignorato il fatto che gli elettori hanno votato in massa FdI dando così due giudizi politici: uno sul governo Draghi (la Meloni, per chi non se ne fosse ancora accorto, ha fatto una campagna prima politica, poi elettorale contro il Governo Draghi e la famosa agenda), l’altro nei confronti delle forze “ciò che resta del centrosinistra” che non hanno saputo intercettare i bisogni del Paese e proporre ricette adeguate alla loro risoluzione (bollette, energia, ambiente, lavoro, scuola …); piuttosto perché non ha posto l’accento sui motivi per i quali gli elettori non hanno votato PD. Si è basata la campagna elettorale sul paventato pericolo fascista e sulla critica a Conte ottenendo da un lato la vittoria dei “fascisti”, dall’altro un aumento sconsiderato dell’astensionismo (a Sinistra) + 10% rispetto alle elezioni del 2018. Senza considerare che il famigerato M5S, dato per spacciato al 6%, è quasi arrivato al 16% diventando così il terzo partito italiano.

    Non si è proposto agli elettori un progetto politico concreto e attuale, una meta da raggiungere, un motivo valido per votare “ciò che resta del centrosinistra”; si è solo piagnucolato sulla caduta del Governo Draghi (che gli elettori con il voto di domenica hanno dimostrato di condividere). La campagna elettorale è stata caratterizzata – oltre alla candidatura di Casini a Bologna (che non appena insediato al Senato cambierà gruppo politico) – dalla schizofrenia con il penoso accordo con Calenda e Bonino (quest’ultima premiata dagli elettori da un clamoroso insuccesso) che poi Calenda (la cui affidabilità era nota dai tempi della sua elezione al Parlamento Europeo nelle liste del PD …) ha ignorato, dice perchè impaurito da Bonelli e Fratoianni, per imbarcare lo statista di Rignano sull’Arno. È stata data un’immagine allucinante che ha fatto orrore anche agli elettori delle regioni “rosse” come la Toscana, che lunedì si è sveglia “nera” al 90%. Molti non hanno ancora capito il motivo per cui si è governato in due esecutivi con Salvini e Berlusconi e invece, con questa legge elettorale, non si è cercato da fare un accordo con Conte (che con molta probabilità ha sottratto voti “ciò che resta del centrosinistra”), perché ? Per tenersi la Bonino ?

    Le ragioni sono da ricercare qui, nell’assenza politica di un partito o più partiti di centrosinistra. Far finta di non vedere questo, addossando le colpe sempre a qualcun altro porterà, purtroppo, alla cancellazione di “ciò che resta del centrosinistra” che ad oggi è ininfluente verso qualsiasi scelta farà il nascente governo.

    Urge non tanto un congresso del PD (hanno già iniziato le lotte intestine tra bande) ma recuperare la consapevolezza e l’impegno del popolo di Sinistra che ogni giorno lavora silenzioso nel volontariato, nel sindacato, nell’ANPI, nell’ARCI nell’associazionismo locale – comunque lontano dai gruppi di potere – portando avanti un lavoro politico (questo si) per la collettività. Quelle risorse, che fanno politica senza accorgersene, devono trovare un punto di riferimento che sappia guardare a quei valori. Il periodo che abbiamo davanti è buio, soprattutto per la nostra Carta Costituzionale, e lo si affronterà non solo in Parlamento (dove grazie a Calenda e Renzi “ciò che resta del centrosinistra” sarà ancor più ininfluente) ma sul territorio, con le persone, nelle scuole e nelle università, nei luoghi di lavoro. La politica deve tornare ad essere un servizio non un ufficio di collocamento per pochi privilegiati. Solo in questo modo, tornando a fare politica tra la gente, per la gente, si potrà arginare l’imminente pericolo costituzionale.

      

                       

da >>> TERZO GIORNALE *)

https://www.terzogiornale.it/

 

Il congresso del Partito Comunista Cinese e

la competizione sui microchip

 

di Michele Mezza

 

“Innovare l’innovazione per governarla”: uno slogan che fa comprendere

il perché dell’insistenza di Xi Jinping sulla questione di Taiwan. (…) Nella sua relazione di apertura al ventesimo Congresso, iniziato domenica 16 ottobre, il leader cinese, che si avvia a essere riconosciuto come capo in eterno, ha confermato questa priorità. Tanto più dopo la sonora lezione a cui ha assistito in Ucraina, dove il suo – sempre in maniera più fredda e distaccata – alleato Putin ha patito la superiorità sociale, prima ancora che tecnica, dell’uso delle intelligenze e delle memorie artificiali da parte dell’Occidente.

    Il nodo che Xi Jinping ha posto nella sua secca relazione (la metà delle tre ore e mezza di cinque anni fa, segno che non ci sono più attriti da appianare) è proprio l’autonomia del Paese nello sviluppo tecnologico, che la Cina ancora non ha raggiunto, soprattutto nella produzione di chip ad alte prestazioni, che deve garantire a Pechino il rango di grande potenza oggi, e di Paese guida fra vent’anni. In questa logica, la nota dolente di Taiwan assume una valenza diversa dalle tradizionali rivendicazioni nazionalistiche.

    Certo, proprio mentre chiede di essere equiparato al perdurante mito di Mao nella sua eternità al potere, Xi deve creare l’aspettativa di essere l’uomo che completa la fondazione della nuova Cina, che il grande timoniere proclamò il primo ottobre del 1949, integrando Taiwan. Ma con il pragmatismo che i cinesi riescono sempre a riempire con ispirate metafore globali, l’isola, più che rispondere alla storica rivendicazione di unità nazionale, diventa oggi la fabbrica di microchip a elevate prestazioni, che manca alla filiera tecnologica di Pechino. Una filiera che, come dicevamo, non è solo l’emblema di una potenza geopolitica, ma anche il tassello che oggi tiene insieme l’intera infrastruttura del potere statuale nel Paese più popoloso del mondo. Infatti Xi finora ha governato il processo di sviluppo economico, con l’inevitabile spinta centrifuga di forze che, acquisendo autonomia e ambizione individuali, spingono per avere spazio o comunque anche riconoscimenti a livello politico – sempre nel codice cinese, che separa l’influenza decisionale dalla rappresentanza istituzionale. Questo snodo – la differenza fra la possibilità di contare a livello territoriale, persino di influenzare le decisioni nazionali, e invece la rinuncia a farsi rappresentare autonomamente al vertice del Paese –  che mise in crisi  il tentativo di modernizzazione dell’Urss di Gorbaciov, è stato reso possibile in Cina proprio da quella versione di sviluppo tecnologico, che ha fatto coincidere il successo e l’emancipazione  individuale, o aziendale, con il massimo di controllo e dominio da parte del partito.

    Ora, i vertici cinesi sanno bene che la tecnologia, a differenza degli apparati industriali del secolo scorso, è una base “liquida”, per dirla con Baumann, un flusso e non un’infrastruttura, qualcosa che muta ogni momento, riconfigurando equilibri e primati. Per questo Xi deve costantemente innovare l’innovazione, dimostrando al mondo – lo ha detto esplicitamente nella sua relazione – “un altro modo per raggiungere lo sviluppo”. (…) >> continua sul sito

 

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

       

       

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

Landini: Scendiamo in piazza

per fermare questa guerra

 

“Bisogna fermare questa guerra. Non possiamo accettare che la guerra torni a essere lo strumento che regola i rapporti tra gli Stati e tra le nazioni”. Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini spiega le ragioni della manifestazione nazionale del prossimo 5 novembre. Una manifestazione per la pace che il sindacato di Corso d’Italia sta contribuendo a promuovere insieme a un ampio cartello di associazioni.

    “Questa guerra folle voluta da Putin sta determinando una situazione disastrosa. – aggiunge Landini – Non solo noi esprimiamo la nostra solidarietà al popolo ucraino e al suo diritto alla resistenza, ma vogliamo ribadire che non vogliamo che il conflitto diventi una guerra nucleare. Quindi è il momento di scendere in piazza e di chiedere a tutti gli Stati, a partire dall’Europa ma non solo, che si torni a discutere”.

    Le richieste dei promotori della manifestazione Europe for peace sono precise e Landini le elenca tutte: “che ci sia un cessate il fuoco, che si apra un negoziato e che si arrivi a una vera conferenza di pace come fu fatta nel 1973 ad Helsinki e come del resto il nostro presidente della Repubblica invoca da tempo. Condividiamo anche molto i messaggi lanciati Papa Francesco”

    Oltre a questo, conclude il segretario generale della Cgil, “è ormai chiaro a tutti che fermare la guerra è anche un modo per tutelare le condizioni di vita e di lavoro delle persone: è sotto gli occhi di tutti che l’aumento dell’inflazione è frutto anche di questo conflitto. In gioco c’è pure una nuova politica energetica in Italia e nel mondo. Siccome le lavoratrici e i lavoratori sono quelli che, come è noto, quando c’è una guerra pagano, per noi è importante ribadire il concetto che la pace è l’unica condizione per affermare i diritti, per affermare la democrazia e la possibilità di cambiare un modello sociale ed economico che consideriamo sbagliato”.

       

       

Su Radio Radicale

https://www.radioradicale.it/

 

QUI TONI Capuozzo

dal mondo a pezzi

 

Presentazione del libro di Toni Capuozzo “Giorni di guerra. Russia e Ucraina, il mondo a pezzi”, nell’ambito de “I Pirati della Bellezza, il festival dei diritti”. L’autore viene intervistato da Alessio Bernabucci a da Carlo Galeotti. Registrazione video effettuata a Viterbo lunedì 17 ottobre 2022.

  

Vedi il video su RR

       

   

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Povertà

in drammatico aumento

 

Dal XXI Rapporto della Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole” arriva una fotografia preoccupante.

 

Redazione Avanti!

 

“Nel 2021, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati, le persone incontrate e supportate sono state 227.566 persone – si legge nel rapporto –. Rispetto al 2020 si è registrato un incremento del 7,7% del numero di beneficiari supportati (legato soprattutto agli stranieri); non si tratta sempre di nuovi poveri ma anche persone che oscillano tra il dentro fuori dallo stato di bisogno. Chiedono aiuto sia uomini (50,9%) che donne (49,1%).

    Cresce da un anno all’altro l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 55%, con punte che arrivano al 65,7% e al 61,2% nelle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est; di contro, nel Sud e nelle Isole, prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana che corrispondono rispettivamente al 68,3% e al 74,2% dell’utenza. L’età media dei beneficiari si attesta a 45,8 anni. Complessivamente le persone senza dimora incontrate sono state 23.976, pari al 16,2% dell’utenza: si tratta per lo più di uomini (72,8%), stranieri (66,3%), celibi (45,1%), con un’età media di 43,7 anni e incontrati soprattutto nelle strutture del Nord (questa macroregione ha intercettato quasi la metà degli homeless d’Italia)”.

    “In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, la UIL vuole richiamare l’attenzione su questo fenomeno in drammatico aumento, che ha ripercussioni molto gravi sull’intera società, che coinvolge sempre di più le famiglie e che, perpetuandosi di generazione in generazione, condanna i minori a uno svantaggio permanente”. Afferma Domenico Proietti segretario confederale della Uil. “Sono fondamentali educazione e istruzione di qualità per spezzare il ciclo della povertà; politiche orientate alla famiglia e un sistema integrato di servizi pubblici per garantire la presa in carico e assicurare a tutti l’accesso alle prestazioni. Occorre inoltre rafforzare gli strumenti di contrasto alla povertà, a partire dal Reddito di Cittadinanza. La povertà non è una colpa e per contrastarla servono una visione di sistema e l’integrazione delle politiche, a livello nazionale e internazionale, per rendere esigibili i diritti sociali fondamentali, ridurre le disuguaglianze e garantire a tutti una vita dignitosa”.

    Sono 5,6 milioni i poveri assoluti, il picco più alto degli ultimi 15 anni, 14,9 milioni di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, pari al 25,4% della popolazione, “sono numeri insostenibili per un paese democratico”. Lo afferma la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi che aggiunge: “Numeri destinati ad aggravarsi – sottolinea la dirigente sindacale – a causa di inflazione, caro bollette e aumento dei costi dei beni alimentari che colpiscono in misura nettamente più pesante coloro che hanno bassi redditi”. “La condizione di povertà è cresciuta soprattutto per alcune categorie: i minori, ben il 14% di loro si trova in condizioni di povertà, gli anziani soli, i migranti. Sono tornati ad ampliarsi anche i divari territoriali”.

     “Una condizione – prosegue Barbaresi – che riguarda anche una parte importante del mondo del lavoro. Bassi salari, precarietà, part time involontario non solo non mettono al riparo dall’impoverimento, ma ne costituiscono una causa, ed è proprio l’Inps ad attestare che un lavoratore su tre ha una retribuzione annua lorda sotto i 10 mila euro”.

    Per la segretaria confederale “è compito delle istituzioni pubbliche rimuovere le cause della povertà e sostenere chi si trova in condizione di bisogno con una pluralità di interventi e servizi. La povertà non è una colpa e il Reddito di Cittadinanza è stato e continua ad essere un indispensabile strumento di contrasto alla povertà. Ma non basta. Va migliorato, eliminando le disposizioni che penalizzano le famiglie numerose e con minori, e quelle che discriminano gli stranieri e, soprattutto, va rafforzata la modalità di presa in carico dei beneficiari da parte dei servizi pubblici del territorio che devono operare in modo integrato per attivare tutte le politiche e gli interventi necessari a promuovere inclusione sociale dei beneficiari”. “Inoltre – conclude Barbaresi – vanno garantiti sia i progetti personalizzati volti a rispondere e soprattutto a prevenire le necessità dell’intero nucleo familiare, sia i percorsi di orientamento e formazione per favorire l’inclusione lavorativa, senza dover sottostare a condizionalità mortificanti”.

       

                        

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

IL DISCORSO DI LILIANA SEGRE

 

Testo integrale del discorso tenuto dalla senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah italiana, nella seduta inaugurale della XIX legislatura.

 

«Colleghe Senatrici, Colleghi Senatori,

 

rivolgo il più caloroso saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’Aula. Con rispetto, rivolgo il mio pensiero a Papa Francesco.

    Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’Assemblea, desidero indirizzare al Presidente Emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato.

    Il Presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole:

    “Desidero esprimere a tutte le senatrici ed i senatori, di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro, al servizio esclusivo del nostro Paese e dell’istituzione parlamentare ai quali ho dedicato larga parte della mia vita”.

    Rivolgo ovviamente anch’io un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove colleghe e a tutti i nuovi colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dalla austera solennità di quest’aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.

    Come da consuetudine vorrei però anche esprimere alcune brevi considerazioni personali.

    Incombe su tutti noi in queste settimane l’atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore…una follia senza fine.

    Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva.

    In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica.

    E il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!

    Il Senato della XIX legislatura è un’istituzione profondamente rinnovata, non solo negli equilibri politici e nelle persone degli eletti, non solo perché per la prima volta hanno potuto votare anche per questa Camera i giovani dai 18 ai 25 anni, ma soprattutto perché per la prima volta gli eletti sono ridotti a 200.

    L’appartenenza ad un così rarefatto consesso non può che accrescere in tutti noi la consapevolezza che il Paese ci guarda, che grandi sono le nostre responsabilità ma al tempo stesso grandi le opportunità di dare l’esempio.

    Dare l’esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con “disciplina e onore”, impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse.

    Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica “alta” e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza.

    Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte. E il popolo ha deciso.

    È l’essenza della democrazia.

    La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti.

    Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti.

    In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti.

    Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica.

    In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi.

    E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali – e purtroppo questo è accaduto spesso – la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale ed alla magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto.

    Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all’art. 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.

    Il pensiero corre inevitabilmente all’art. 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”, che erano state l’essenza dell’ancien regime.

    Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla “Repubblica”: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

    Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli !

    Le grandi nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria.

    Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date “divisive”, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile festa della Liberazione, il 1° Maggio festa del lavoro, il 2 Giugno festa della Repubblica?

    Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi.

    Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni.

    Permettetemi di ricordare un precedente virtuoso: nella passata legislatura i lavori della “Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” si sono conclusi con l’approvazione all’unanimità di un documento di indirizzo. Segno di una consapevolezza e di una volontà trasversali agli schieramenti politici, che è essenziale permangano.

    Concludo con due auspici.

    Mi auguro che la nuova legislatura veda un impegno concorde di tutti i membri di questa assemblea per tenere alto il prestigio del Senato, tutelare in modo sostanziale le sue prerogative, riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento.

    Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell’abuso della decretazione d’urgenza e del ricorso al voto di fiducia. E le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza.

    Nella mia ingenuità di madre di famiglia, ma anche secondo un mio fermo convincimento, credo che occorra interrompere la lunga serie di errori del passato e per questo basterebbe che la maggioranza si ricordasse degli abusi che denunciava da parte dei governi quando era minoranza, e che le minoranze si ricordassero degli eccessi che imputavano alle opposizioni quando erano loro a governare.

    Una sana e leale collaborazione istituzionale, senza nulla togliere alla fisiologica distinzione dei ruoli, consentirebbe di riportare la gran parte della produzione legislativa nel suo alveo naturale, garantendo al tempo stesso tempi certi per le votazioni.

    Auspico, infine, che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo in collaborazione col governo un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anziché ridursi. In questo senso avremo sempre al nostro fianco l’Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale.

    Non c’è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare.

    Senatrici e Senatori, cari Colleghi, buon lavoro!»

 

Liliana Segre al Senato della Repubblica – Roma, 13/10/2022

       

                         

telegramma Rap !

 

Chest DJ27: “Mi puoi ascoltare cliccando qui” > Actually!

 

Chest DJ27 (feature: A! da One)

        

                           

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

If you want Unsubscribe, please send us a mail to unsubscribe_adl@vtxmail.ch. Thank you!

Chi desideri DISISCRIVERSI ci invii p.f. una email a unsubscribe_adl@vtxmail.ch. Grazie! 

    

    

 

ARTICOLI RECENTI
Video