L’ADL del 13 ottobre 2022

L’Avvenire dei lavoratori

13 ottobre 2022 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana

Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano

Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

 

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AVVERTENZA: PER “LAVORI IN CORSO” IL SITO WEB NON È AL MOMENTO DISPONIBILE

 

 

IPSE DIXIT

 

Uno spiraglio – «Quando tutto sembra perduto, è proprio in quelle circostanze estreme che la diplomazia tesse con indomabile pazienza le sue trame. All’indomani del micidiale attracco russo su dieci città ucraine, si è acceso in fondo al tunnel un lontano, lontanissimo lumicino. Debole, tremolante, mentre i missili di Mosca tornano a fare paura. L’unica via d’uscita è che i leader provino a parlarsi. L’idea di un incontro da concretizzare al prossimo vertice del G20 in novembre, trapelata da fonti del Cremlino, non è segnale da poco. Nell’ottica americana per ora non ci sono i presupposti per un summit sull’Ucraina, ma la Casa Bianca tiene aperto lo spiraglio di un colloquio quale ultima speranza di salvare la pace. Con l’obbligo tassativo di fugare la spaventosa minaccia di una Armageddon nucleare. Non pochi indizi lasciano immaginare che Putin sia ormai con le spalle al muro tanto sul campo quanto nei confronti della storia; e che non possa imporre condizioni per la resa. Ma resta pur sempre pericoloso come un orso ferito.» – Renzo Balmelli

 

Biden e Putin a Mosca 2011 (Ap2011, part.)

     

        

EDITORIALE

 

La parola alle autoritÀ

 

Che dire, puta caso, della Terza guerra mondiale, di cui si parla non poco ultimamente? Se sei preso in mezzo ad accadimenti di enorme importanza sui quali sai di non possedere informazioni sufficienti, puoi oggi visitare direttamente i siti di questa o quella auctoritas che a te paia particolarmente degna di fiducia.  Magari ti aiuta a schiarirti le idee…

 

di Andrea Ermano

 

In tema di Terza guerra mondiale ritengo, senza nulla togliere ai dotati e meritevoli d’Italia, che si debba verificare anzitutto quel che dice il Presidente della Repubblica Mattarella. Il quale, sull’argomento, dispone, immagino, di informazioni importanti, occupandosi istituzionalmente delle relazioni in materia di sicurezza interna dello Stato, in collaborazione con l’Ufficio per gli affari diplomatici, l’Ufficio per gli affari militari e la Sovraintendenza centrale dei servizi di sicurezza.

    E, dunque, visitando il sito del Quirinale troviamo il seguente commento, rilasciato in morte di Michail Gorbaciov: «In lui convivevano sincero attaccamento alle proprie radici e capacità di ascoltare e comprendere le ragioni degli altri, con il coraggio della consapevolezza che la preservazione della pace rappresentasse il valore più alto e la chiave di volta per la costruzione di un mondo migliore per tutti». Così il Capo dello Stato il 31 agosto scorso.

    E io avverto tra le costole una fitta di nostalgia per il tempo ‘gorbacioviano’ che fu, nel quale ancora si lodava la pace, anche se, come canta il poeta, «un giorno il giorno tornerà… sulle case degli uomini tutti uguali, nel grande orfanotrofio della terra».

    Ma adesso consentitemi di segnalare un’altra auctoritas, valida in ambito giovanile, quella dei per me lodevoli Maneskin, che hanno reinvestito il loro trionfo a Sanremo 2021 nella campagna #StandUpForUkraine: «I rifugiati in Ucraina e nel mondo hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti. Stiamo usando la nostra voce per chiedere l’azione e puoi farlo anche tu», hanno scritto, denunciando nel video gli orrori e i crimini di guerra perpetrati in questi mesi da parte dell’invasore russo (vai alla clip).

 

Si dirà che le due “autorità” citate sono molto diverse, la massima figura istituzionale da un lato e un gruppo protagonista della cultura musicale giovanile dall’altro. Le ho scelte così distanti per illustrare che ci sono voci influenti valide per vecchi e giovani a favore della pace e non delle armi. All’autorità religiosa faremo breve cenno tra poco. Ma prima voglio segnalare anche altre autorità, quelle della grande informazione. Per la quale chi oggi non si schieri a favore di forniture belliche in continua escalation viene sospettato di simpatie putiniane più o meno mascherate: alto tradimento!

    Guai a interrogarsi sul punto di caduta finale della nostra strategia degli armamenti (multimiliardaria); perché il dubbio legittimerebbe «una lunga serie di stravaganti domande: fino a dove vuoi spingerti Zelensky? Vuoi destabilizzare Putin portandolo a compiere gesti inconsulti? Intendi forse trascinarci in una guerra mondiale? Dicci una buona volta a quali parti del tuo Paese sei disposto a rinunciare…», ironizza dissuasivamente l’autorevole Paolo Mieli sul Corriere della Sera di martedì scorso.

    La sua tesi di fondo è che l’Europa deve fornire armi all’Ucraina. Altrimenti, come ammonisce un altro autorevole commentatore del Corriere, Angelo Panebianco: «Putin risulterebbe vincente. Verrebbe dimostrato che egli aveva ragione: le democrazie occidentali sono troppo deboli, troppo immemori di sé e delle proprie buone ragioni per potere resistere alla pressione delle potenze autocratiche». E ciò condurrebbe a due catastrofiche conseguenze, sostiene Panebianco.

    Iniziamo dalla seconda conseguenza catastrofica, che consisterebbe nella fine della Nato e dell’europeismo, in quanto perderemmo la speranza «che l’integrazione europea possa un giorno fare dell’Europa un soggetto politico attivo» cioè capace di mettere in campo un sistema di difesa comune. E la prima conseguenza catastrofica di questa vittoria russa, secondo Panebianco, equivarrebbe a «quella di rendere più, non meno probabile, lo scoppio della Terza guerra mondiale».

    Di fronte a tanta autorevolezza si rimane senza fiato. Sicché sbaglierebbe papa Bergoglio nel sostenere che: «È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cow boy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale».

    Ma per gli autorevolissimi commentatori contano solo le valutazioni loro, mentre quelle altrui non valgono. Bisogna perciò marciare compatti nell’escalation “sulle sanzioni nonché sull’invio di armi agli ucraini”. Signorsì!

 

l’ADL di un secolo fa non avrebbe, però, mancato di denunciare anche i grandi profitti dei venditori di armi. Perché la guerra è una grande tragedia per alcuni. Ma un grande affare per altri, dato che qualcuno diventa ricco o ricchissimo: grazie alle armi, ai combustibili, al frumento eccetera eccetera. Va perciò rintuzzata una certa aria interventista, tipo 1914, quando la nostra testata denunciava i “commercianti di cannoni”. (E con quale faccia dovremmo stare noi qui oggi ad applaudire i loro emuli contemporanei?)

    Comunque sia, a parte la (non trascurabile) ‘complicazione’ dell’atomica e per concludere, torniamo alla domanda sul punto di caduta di tutto ciò. Per Mattarella, esso si riconduce nella richiesta da lui formulata nel modo più limpido e solenne al Presidente Zelensky, in occasione della festa nazionale dell’Ucraina, il 24 agosto scorso:

    «Va affermata ancora una volta la necessità di una immediata cessazione delle ostilità per l’avvio di un processo negoziale in vista di una soluzione pacifica, giusta, equa e sostenibile per l’Ucraina».

    Sono passati due mesi dal messaggio quirinalizio e otto dall’inizio dell’invasione russa, ma il punto di caduta non varia: occorre una pace giusta ed equa. In attesa della quale, bisogna attivare un cessate il fuoco, immediatamente, affinché in Ucraina si fermi la macchina di morte secondo l’appello indirizzato da papa Francesco nell’angelus del 2 ottobre scorso al presidente russo Vladimir Putin «supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte», nonché al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, affinché resti aperto a “serie proposte di pace”.

    In effetti, il G7, cioè l’Occidente, ha preso ieri una posizione abbastanza chiara sulla questione: «Nessun paese vuole la pace più dell’Ucraina, il cui popolo ha subito morte, sfollamenti e innumerevoli atrocità a seguito dell’aggressione russa. Solidali con l’Ucraina, i leader del G7 accolgono con favore la disponibilità del presidente Zelensky per una pace giusta. Ciò dovrebbe includere i seguenti elementi: rispettare la protezione dell’integrità territoriale e della sovranità della Carta delle Nazioni Unite; salvaguardare la futura capacità difensiva dell’Ucraina; garantire la ripresa economica e la ricostruzione del Paese, esplorando anche vie di realizzazione con fondi provenienti dalla Russia; perseguire la responsabilità per i crimini russi commessi durante la guerra» (vedi Statement on Ukraine, § 11, sul sito di Palazzo Chigi).

    Forse non è un caso che – dopo le barbare rappresaglie russe sulle città ucraine e dopo il G7 – spuntino oggi, financo nei titoli dei giornaloni, inattese parole come “negoziati”, “dialogo”, “trattativa” (vedi Il Punto del CdS). Meglio tardi che mai.

       

   

CULTURA Politica

 

Per il socialismo liberale

nella sinistra italiana

 

di Maurizio Ballistreri

 

Il politicismo e la lotta per il potere dominano la dialettica tra simulacri di partiti, che parlano solo di “campi larghi”, alleanze elettoralistiche, candidature alla premiership, senza identità e proposte programmatiche oltre il contingente in grado di guardare al futuro, mentre il sindacalismo confederale appare diviso tra la riproposizione del modello conflittuale e di quello collaborazionista, entrambi distanti dalla cultura del riformismo sociale europeo, espresso dalle socialdemocrazie sino al crollo del Muro di Berlino

    Sembra così, che si debba avverare quel “pessimismo della ragione” che Gramsci contrapponeva all’”ottimismo della volontà”.

    Ma negli ultimi giorni la vita pubblica italiana ci ha offerto una bella pagina di autentico riformismo, occasione di un dibattito sereno sui mali della società e dell’economia italiane nel contesto nazionale e in quello globale.

    Giorgio Benvenuto, uno dei leader storici del sindacalismo italiano, e Marco Cianca, autorevole opinionista, hanno scritto “Lavoro e Libertà. Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione” pubblicato su “La rivoluzione democratica. Giornale socialista di idee e critica politica”, in cui affrontano i temi della precarizzazione del lavoro e della drammatica riduzione dei diritti sociali, a fronte dei vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia 4.0, con i fenomeni del dumping sociale, della crisi salariale e delle politiche ‘welfaristiche’, dell’abbandono del lavoro, dello sfruttamento degli immigrati, del ritorno del paternalismo datoriale, dell’inadeguatezza dell’azione delle forze politiche della sinistra, a fronte della straordinaria predicazione sociale di Papa Francesco, vox clamantis in deserto nell’orgia mercatistica generata da una globalizzazione, che, già in crisi dopo la bolla dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers e poi con la pandemia, sembra schiantarsi sul muro della prospettiva di una nuova divisione in blocchi militari ed economici, quello Occidentale e quello Euroasiatico, che l’invasione russa dell’Ucraina sta generando.

    Scrivono Benvenuto e Cianca: “Purtroppo, stiamo tornando al clima della prima industrializzazione, con forme selvagge di sfruttamento, di umiliazione, di sicurezza negata. Chi tiene il conto delle morti bianche? Con l’aggravante che nell’Ottocento il nascente movimento socialista e le prime leghe si battevano come leoni per cambiare le cose, mentre oggi i partiti della sinistra e i sindacati giocano tutto in difesa, pensando che piccoli risultati in una miseranda ridistribuzione delle ricchezze possano avallare la formazione di tesori stratosferici”. La proposta che viene dal Manifesto non è certamente di palingenesi sociale, ma di un riformismo dalle radici antiche aggiornate al nostro tempo, quelle della rivalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti.

    Si deve registrare, purtroppo, l’assenza di una forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo, contestando il nuovo dogma secondo cui il passaggio al postmoderno, al globale, debba trasfigurare sino a renderle neutre e fungibili, destra e sinistra.

    L’idea prevalente nella sinistra italiana non può essere quella di una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario è nelle primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che “incorona” il capo e il cui “nemico” è il conflitto sociale, relegato negli scantinati della Storia. Già, quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo va tosato e non ucciso”.

    Nella sinistra europea ed internazionale non mancano fermenti: i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez e quelli portoghesi di Antonio Costa al governo dei rispettivi Paesi con un programma dai forti connotati sociali, al socialismo americano di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez e lo stesso ruolo da protagonista della politica francese di Jean-Luc Mélenchon con un programma che vede al centro, la questione sociale e quella ecologica.

    Si tratta di un ventaglio di posizioni che pone al centro i diritti sociali, il lavoro e il contrasto al potere della finanza globale.

    C’è l’esigenza in Italia di guardare ad esse, per ricostruire la fondamentale dialettica democratica tra schieramenti alternativi, partendo dai contenuti e non dalle sigle, espungendo il politicismo e affrontando la vera grande questione dei nostri giorni: la diseguaglianza.

    Per questo servono all’Italia la tradizione e la cultura del socialismo riformista e liberale, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica “prigioniera” del mercato.

    Il Manifesto di Benvenuto e Cianca costituisce riformismo autentico, che deve consentire alla sinistra italiana un’adesione piena alla cultura politica del socialismo liberale, con un orizzonte valoriale e programmatico, che abbia al centro il lavoro, l’equità sociale, lo sviluppo del Mezzogiorno, i diritti civili, la partecipazione democratica dei cittadini.

 

Da La Rivoluzione Democratica

www.rivoluzionedemocratica.it/

 

     

segnalazione

 

Premio Giacomo Matteotti

i vincitori della XVIII edizione

 

La Commissione giudicatrice per l’assegnazione del Premio Giacomo Matteotti – presieduta dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Pres. Roberto Chieppa e composta dalla dott.ssa Silvia Calandrelli, dal prof. Stefano Caretti, dalla dott.ssa Emanuela Giordano Meschini, dal prof. Francesco Maria Chelli, dal prof. Alberto Aghemo e dal prof. Bruno Tobia – ha designato i vincitori delle sezioni concorsuali: “saggistica” e “opere letterarie e teatrali”.

 

Saggistica” – Premio ex aequo a:

Carlo Greppi – Il buon tedesco (Laterza)

Fabio Florindi – La missione impossibile. Il Psu e la lotta al fascismo (Arcadia)

 

“Opere letterarie e teatrali” – Premio ex aequo a:

Mimmo Sorrentino – Che tutto sia bene (Manni)

Carmen Sepede – Il mio nome è Tempesta. Il Delitto Matteotti.

 

La Commissione ha ritenuto, inoltre, meritevoli di menzione i lavori di:

 

“Saggistica”

Eliana Di Caro – Le Madri della Costituzione (il Sole 24 Ore)

 

“Opere letterarie e teatrali”

Brunello Castellani – La scelta di Destino (Diadema)

Enrico Varrecchione – Il Rock al tempo di Mussolini (self editing)

 

La cerimonia di premiazione avrà luogo

giovedì 20 ottobre 2022 alle ore 11:00

Sala Verde di Palazzo Chigi.

 

Le modalità di svolgimento della cerimonia di premiazione saranno comunicate successivamente nel rispetto del quadro normativo vigente sulle limitazioni di accesso alle cerimonie nei luoghi pubblici.

        

           

da >>> TERZO GIORNALE *)

https://www.terzogiornale.it/

 

Pace o abisso

 

L’Europa dovrebbe sforzarsi di persuadere i suoi partner – compresi gli Stati Uniti di Biden – che, contro una potenza nucleare come la Russia, si è già dato il massimo in fatto di resistenza, e che è arrivato ora il momento dell’apertura di una trattativa.

 

di Rino Genovese

 

La spirale non si ferma, siamo nel mezzo di una escalation senza precedenti nel cuore dell’Europa: da una parte si dice di volere riprendersi tutti i territori, compresa la Crimea (annessa alla Russia dal 2014), e per questo si compiono anche attentati, come l’ultimo, che ha distrutto il ponte di Kerch; dall’altra, si risponde con le rappresaglie, tornando a bombardare Kiev e altre città ucraine, facendo strage di civili. È evidente che così si finisce dritti nel precipizio (se non ci si è già). Gli Stati Uniti decidono la consegna di nuove armi, ancora più potenti, a Zelensky. L’Unione europea seguita con il refrain che le prospettive di pace – quando, a quali condizioni, in che modo – sono nelle mani degli ucraini, che devono essere padroni del loro destino.

    Ebbene, sarebbe il caso di dire con forza che non possono esserlo. Se l’Ucraina, da alleata, vuole diventare parte integrante dell’Unione, entrando in essa a pieno titolo, dovrebbe concordare con il resto dell’Europa le modalità per arrivare – se non altro – a un cessate il fuoco. Nessuno si aspetta una pace duratura nei prossimi anni: ma qualsiasi tregua, anche temporanea, potrebbe profilarsi solo sulla base di un’accettazione almeno parziale – da parte dell’Ucraina – del fatto compiuto. Zelensky e i suoi dovrebbero comprendere che riprendersi la Crimea, per esempio, è fuori portata. La Russia potrebbe ritirarsi, un giorno, anche da lì – ma a quale prezzo? Dopo quanti altri morti nelle città ucraine?

(continua sul sito)

 

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

       

 

SPIGOLATURE

 

L’endorsement

 

di Renzo Balmelli

 

EQUIVOCI. Promette di riscrivere le sorti del Paese con una sferzata. Ma come? Con la sua apparizione di pochi giorni fa sulla scena europea nella veste di capo in pectore del governo, Giorgia Meloni non ha certo azzeccato la mossa più indicata per rassicurare l’uditorio. Il suo fragoroso, insistito endorsement a favore dei neo franchisti di Vox e di tutta la galassia che le ruota attorno ha lasciato allibiti gli osservatori. Affermare che il suo modo di intendere la politica sarà una cosa diversa, mai vista finora, è un suo diritto. Poi come farà quando verrà messa alla prova, lo vedremo. Ad ogni buon conto, se non altro per fare buona impressione, la solita manfrina sull’ Europa dei patrioti che oltretutto divide anziché rafforzare il fronte europeo se la poteva risparmiare. Uscite del genere sono fonte di grossi equivoci e non minori preoccupazioni a Palazzo Charlemagne, sede dell’UE, impegnata a contenere la marea del sovranismo che fa il gioco di Mosca. Se queste sono le premesse mal comincia il suo periodo. Non diverso d’altronde è il disagio palpabile nei ranghi della sua maggioranza, dove serpeggiano malumori e irritazioni per il valzer delle poltrone sfuggite ai vari postulanti. Coglie quindi nel segno, eccome se lo coglie, il commiato di Draghi il quale, con un sottile ma pungente filo di ironia, rammenta ai contendenti che i governi passano, ma l’Italia resta.

 

MENTALITÀ. Avere in Italia la prima donna premier capace di rompere anni e anni di egemonia maschile dovrebbe rappresentare una novità straordinaria per dare slancio all’uguaglianza di genere nell’accesso alle responsabilità politiche. Dovrebbe. Ma non è detto che accada. Affinché ciò si realizzi, molto dipende dalle circostanze e dalla disponibilità dei vari attori che si muoveranno sul palcoscenico di Roma capitale. Tanto per dire, in primis andrebbe sbarazzato il campo dall’assurda concezione che la donna debba essere considerata in una “fascia protetta”, come se non sapesse farsi valere da sola. In altre parole si vorrebbe insomma che se ne stia buona-buona, secondo una intemerata visione ultra-maschilista dell’uguaglianza di genere tuttora saldamente ancorata a una certa mentalità del passato che non passa. Sarà quindi curioso e interessante vedere come si muoverà lady Giorgia su questo terreno a dir poco scivoloso e che finora non le era completamente congeniale. Dopo anni di progressivo aumento della presenza femminile in Parlamento, la tendenza di colpo si è invertita. Le deputate ora sono solo un quarto dei parlamentari e il verdetto uscito dalle urne non può che preoccupare. La parità sembra ancora lontana.

 

RAGÙ. A. destra, se non hanno nessuno da demonizzare, dormono male a si svegliano imbronciati. Nel clima post elettorale i social di riferimento sfornano chilometrici elenchi di invettive contro la sinistra, definita (sic) “erede di Stalin”. Nella narrazione si sorvola ovviamente, e allegramente, sulle proprie, dolorose eredità storiche che nel Paese hanno lasciato cumuli di macerie. Ora nel tritacarne è finita Elly Schlein, l’anti conformista per antonomasia e grintosa deputata del Pd che sull’altro fronte vedono come il fumo negli occhi. Per lei, data la sua vicinanza con Bologna, è stato inventato il nuovo appellativo di guru della “gauche al ragù” accanto a quelli già noti di “fluida, green, ultra femminista” e di donna libera dai pregiudizi che cammina a testa alta. Vabbè, peccato per loro che non sapranno mai quanto sia gustoso un bel piatto di tagliatelle fatte come mamma comanda. Affrettatevi fin che siete ancora in tempo.

 

VUOTO. Nel dizionario della violenza cominciano a mancare espressioni adatte per definire l’ignobile comportamento della Russia in Ucraina. Vanificati ormai tutti i tentativi di contrapporre l’uso della ragione alla forza bruta non se ne trovano quasi più. Al loro posto rimane un vuoto lessicale che è anche sinonimo del vuoto spirituale in cui ci ha gettato una concatenazione di eventi bellici di intollerabile crudeltà. Ogni guerra è insensata, ma quella contro il popolo ucraino lo è ancora di più in quanto va oltre l’immaginabile. L’inferno del Cremlino, di cui stiamo avendo in questi giorni prove terribili, semina morte e terrore tra la popolazione civile senza nessun riguardo per la Convenzione di Ginevra. Ad acuire il sentimento di afflizione concorre il senso di impotenza di fronte a un tale, diabolico sfoggio di prevaricazione dell’uomo sull’uomo. Dura da mesi e ancora non si riesce a immaginare quando finirà.

 

LINGUAGGIO. In questa fase di gravi incertezze e tribolazioni arriva come una salutare boccata di aria fresca il Nobel per la letteratura attribuito di recente alla scrittrice Annie Ernaux. L’importante riconoscimento conferitole dall’Accademia di Svezia, oltre a sottolineare la sua bravura, ci consola nella consapevolezza che a questo mondo esiste ancora lo spazio per le buone cause. Le cause per le quali vale la pena battersi con il coraggio e la determinazione di cui l’autrice francese, 81 anni, ha sempre dato prova in vita sua senza mai deflettere. Il suo non è solo un Nobel a una donna. È un Nobel ai diritti delle donne e all’impegno per difenderli. Annie Ernaux è una femminista di sinistra che ha sempre scelto da che parte stare e che ha fatto della letteratura uno strumento di lotta con il quale – così recita la laudatio – “ha svelato le radici, gli estraniamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”. Un critico ha detto di lei che usa il linguaggio come un “coltello” per squarciare il velo dell’impotenza e dell’ingiustizia.

    

    

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.collettiva.it

 

Con il lavoro si cambia il Paese

 

La Cgil a Roma a un anno dall’assalto fascista. Landini: “La politica ascolti le proposte di questa piazza” (vai al video integrale della manifestazione)

 

di Stefano Iucci 

 

Una piazza “bella, piena e colorata” – Un’emozione che ci “carica di responsabilità”, perché la situazione è difficile: guerra, pandemia, crisi climatica. “Ma noi questo paese vogliamo cambiarlo. In meglio”. Così, con queste parole, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha concluso dal palco di piazza del Popolo a Roma la giornata di mobilitazione organizzata dalla Confederazione di corso d’Italia a un anno dall’assalto fascista alla sede nazionale e dal “titolo” emblematico: “Italia, Europa: ascoltate il lavoro”.

Per capire il senso di un discorso molto articolato che ha tenuto insieme i temi del fascismo, del lavoro e della pace – molto più legati di quanto potrebbe sembrare a prima vista – bisogna partire dalla fine. Da quando Landini, parlando dell’apertura della sede nazionale della Cgil, ha annunciato la ricollocazione al suo posto del quadro di Ennio Calabria, deturpato dai fascisti e restaurato. “L’artista ce ne ha donato un altro ancora – ha detto –: quella gente non ha capito nulla. Pensava di farci un danno, pensava che avremmo avuto paura, che avremmo alzato muri e invece siamo qua, sempre più in mezzo alla gente”.

    Sindacato di proposta – Insomma: nessun arroccamento, ma la volontà di unire il paese a partire dal mondo del lavoro, dalle persone in carne e ossa. Con proposte precise perché noi, ha scandito, “non siamo il sindacato che dice solo quello che non va bene, ma che ha proposte su tutte le questioni più importanti in gioco”.

    Quindi, “ascoltate il lavoro”, perché “in questi anni il governo e le opposizioni non hanno ascoltato le lavoratrici e i lavoratori, le cui condizioni di vita sono via via peggiorate”. E ha ribadito: “Non siamo qui contro qualcuno ma con l’obiettivo di rimettere al centro il lavoro, i diritti e la giustizia sociale”. E lo facciamo, ha puntualizzato, “proprio da questa piazza, da dove un anno fa qualcuno ha sfruttato rabbia e malessere sociale dicendo che la risposta a questa situazione era assaltare la Cgil”. Tutto questo ha un nome preciso: “Si chiama fascismo ed è quello che noi dobbiamo combattere”, anche se la richiesta fatta lo scorso 16 ottobre “di applicare la Costituzione sciogliendo tutte le forze che si richiamano al fascismo ancora non ha avuto risposta dalla politica”.

    Costituzione che “non è né di destra né di sinistra ma antifascista, democratica e fondata sulla libertà e i diritti del lavoro”. E non è un caso allora che “domani (9 ottobre, ndr) lanciamo una Rete internazionale antifascista fondata sul lavoro e sulla democrazia”.

 

La guerra che non finisce – L’intervento da piazza del Popolo è andato avanti intrecciando i grandi temi che allarmano il mondo attuale. A partire dalla guerra, ovviamente, rispetto alla quale “non siamo vicini alla fine, ed è inaccettabile che si stia discutendo della possibilità di un conflitto nucleare: non possiamo aspettare di vedere se la guerra nucleare ci sarà oppure no. Perché non sarebbe una guerra qualsiasi, ma rischierebbe di mettere in discussione la sopravvivenza stessa del genere umano”.

    Non bisogna stare fermi e dunque Landini ha ricordato che il 20, 21 e 22 ottobre con Europe for peace la Cgil invita a manifestare per la pace in tutte le città italiane e che successivamente “siamo pronti a lavorare per una grande manifestazione nazionale con al centro pace, lavoro e diritti”. No alla cultura della violenza, dunque, qualunque essa sia, e qui Landini ha voluto portare la propria solidarietà alle donne iraniane in lotta per la propria libertà.

 

Senza pregiudiziali – Tornando sul piano politico, il segretario della Cgil ha ribadito che rispetto al governo che verrà “noi non abbiamo pregiudiziali”, “giudichiamo tutti per quello che fanno. Ma una cosa la voglio ricordare. Non si utilizzi il metodo del governo precedente: se ci devono convocare alle 11 per annunciare che alle 15 c’è un Consiglio dei ministri sui cui contenuti tutto è già stato deciso, allora tanto vale che non ci convochino”.

    Insomma, ascoltate il lavoro. E qui Landini ha ricordato alcune delle proposte contenute nel decalogo della Cgil. A partire dall’energia e dal caro bollette. “Il governo vuole fare una cosa che abbia consenso? Vada a prendere i soldi dove sono e faccia una cosa che non ha fatto nemmeno il governo che abbiamo, e avrà il nostro consenso”.

    La proposta è quella di attingere agli extraprofitti “non solo delle imprese energetiche ma anche di altri settori, come le banche e le aziende farmaceutiche” per costituire un fondo che serva a sostenere i cittadini che stanno pagando “queste bollette assurde”, frutto anche della speculazione. Ovviamente questo riguarda l’emergenza, mentre poi occorre anche intervenire sul cosiddetto sistema di Amsterdam per mettere fine alla speculazione sui prezzi dell’energia.

    Flat tax? No grazie – Il leader della Cgil ha ricordato che il sindacato ha anche una piattaforma molto articolata sul fisco. Per i sindacati, come è noto, serve una riforma in grado di mettere più soldi nelle tasche di lavoratori e pensionati a partire dai più deboli. Quindi: “Niente Flat tax, meno carico fiscale su lavoratori e pensionati, lotta serrata all’evasione fiscale”.

    Ma questo non basta: “Bisogna creare lavoro – ha scandito dal palco – ma lavoro che sia di qualità, a partire da una lotta senza quartiere alla precarietà, poiché in questi anni abbiamo raggiunto livelli che non hanno precedenti”. Occorre dunque cambiare “le leggi sbagliate fatte negli anni passati. Non è però sufficiente cambiare il Jobs act ma serve un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori, anche prendendo atto dei nostri ritardi. I diritti e le tutele devono essere uguali per tutte le persone che lavorano a prescindere dal tipo di contratto”. Per fare questo, però, serve un intervento normativo: una legge sulla rappresentanza e quella su un salario minimo legato ai contratti nazionali.

 

Unire il mondo del lavoro – È questo il tema che deve essere presupposto di ogni azione: unire un mondo del lavoro frammentato, diviso in catene di appalti. E qui Landini ha chiamato anche il sindacato alle sue responsabilità: “Dobbiamo aprire vertenze, scioperare, manifestare”. Una battaglia strategica per il sindacato, che però da solo non ce la può fare: “Lo diciamo alla politica: Torni a rappresentare il lavoro e i bisogni delle persone in carne e ossa”.

    Nessuno può farlo da solo: a chi ha legittimamente vinto le elezioni e si appresta a governare, il sindacalista ha ricordato che i voti di chi non li ha votati – anche perché si è astenuto – è superiore a quelli ottenuti dalla coalizione vincitrice e che un astensionismo a questo livello “mette a rischio la democrazia”. Insomma: se la situazione è così difficile “abbiamo bisogno non di dividere ma di unire il paese e per unirlo l’unico modo è partire dalle lavoratrici e dai lavoratori”.

    La Cgil farà la sua parte e non si fermerà. “Noi – ha concluso Landini – questo paese vogliamo cambiarlo, ed è per questo che nelle prossime settimane saremo di nuovo in piazza”. Piazze, come consueto, di proposte. Si comincia il 22 ottobre con una mobilitazione sulla sicurezza sul lavoro, per proseguire il 29 sulla sanità pubblica. E, dunque, “ascoltate il lavoro”. Perché ha molto da dire.

       

           

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

L’Austria va a sinistra?

 

Successo al primo turno per Van der Bellen

 

di Alessandro Perelli

 

L’Austria, svolta a sinistra? Così sembrerebbe dopo le elezioni presidenziali svoltesi domenica scorsa che hanno visto il successo al primo turno di Alexander Van der Bellen. Una vittoria netta quella del ricandidato Presidente della Repubblica uscente, già leader dei verdi, affermatosi con il 54% , sui sei sfidanti, senza ricorrere al ballottaggio. In realtà più che di una svolta politica si tratta di una vittoria per mancanza di avversari.

    Il partito popolare, da anni al Governo esprimendo il Premier infatti, non aveva presentato candidature (forse, anzi probabilmente, per non entrare in collisione proprio con i verdi, partner minore ma indispensabile per la maggioranza dell’Esecutivo). Anche i socialdemocratici non si erano presentati ritenendo di non avere i numeri per aggiudicarsi la carica e per non rischiare di favorire una vittoria dell’estrema destra. E così Walter Rosenkranz, espressione del Fpo (destra sovranista, nel recente passato investita da scandali di corruzione che ne hanno segato i vertici) si è fermato al 18%, risultato al di sotto delle aspettative che comunque gli potrà essere utile personalmente per riproporsi in futuro in altre competizioni elettorali più accessibili.

    Van der Bellen è poi riuscito a entrare nelle preferenze degli elettori austriaci con la sua personalità di uomo convincente, responsabile e moderato, lontano da quegli estremismi che spesso hanno contraddistinto la politica ambientalista. Un antesignano da questo punto di vista di quello che sta avvenendo, nei Gruenen, anche nella vicina Germania, dove sono, come in Austria, al Governo.

    Dei sette candidati presentatisi solo altri due hanno raccolto suffragi di una certa consistenza (poco più dell’8%). Di essi il più sorprendente è stato Dominik Wlazny, proposto dal “Partito della birra” (che a Vienna, dove è consigliere circoscrizionale è arrivato addirittura secondo) che si è aggiudicato molti consensi tra i giovani con un programma anti sovranista. E circa con la stessa percentuale di voti si è classificato Tassilo Wallentin, candidato indipendente di matrice di destra ma che si è differenziato notevolmente da Rosenkranz.

    Quindi, Alexander Van der Bellen ancora per i prossimi sei anni resterà ospite della Hofburg, il palazzo imperiale che ospita nella capitale la Presidenza della Repubblica. Professore di economia e di finanza, in un ruolo che è soprattutto di rilievo istituzionale, ha saputo svolgere il suo mandato con un equilibrio che tutti gli hanno riconosciuto durante il difficile periodo della pandemia e di fronte ai provvedimenti rigidi presi dal Governo nella politica di contenimento dell’emigrazione clandestina che hanno suscitato alcune riserve da parte dell’Unione Europea e soprattutto dell’Italia quando l’Austria ha deciso di schierare l’esercito ai confini, compromettendo anche il buon andamento del lavoro che i pendolari svolgono tra il nostro Paese e la Repubblica federale austriaca.

    Van de Bellen si è dimostrato però anche un convinto europeista solidale con tutte le decisioni prese da Bruxelles in particolare per quanto riguarda le sanzioni prese contro l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin.

       

   

il nuovo libro di bagnoli

 

La Democrazia Commissariata.

La politica italiana: 2020-2021

 

Nuovo Quaderno de “La Rivoluzione Democratica” con gli articoli di fondo di Paolo Bagnoli durante un biennio in oscillazione tra berlusconismo, grillismo e inanità…

 

“La Rivoluzione Democratica” è un giornale socialista liberale che fa critica politica nel convincimento di portare un contributo non solo alla comprensione della politica in atto ma, soprattutto, per mantenere accesa la fiamma di un ideale, quello socialista, che sembra messo al bando dalla politica italiana.

    In questo Quaderno vengono riproposti gli articoli di fondo pubblicati nel 2020 e nel 2021. La crisi degli anni ‘90 ha generato l’affermarsi dell’antipolitica, poi divenuta populismo antisistema. Si è trattato di un lungo percorso partito con Antonio Di Pietro e arrivato, in un climax crescente, a Beppe Grillo, passando per lo snodo fondamentale del berlusconismo; si è registrato un cambiamento nel modo di intendere, vivere e organizzare la nostra democrazia.

      

         

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Premiazione 

 

Borsa di Studio Bruno Bernacchia

SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI AREZZO

14 ottobre 2022 ore 17

 

L’associazione “Amici di Bruno Bernacchia” organizza dal 2016 in collaborazione con la SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea) e con il Patrocinio del Comune di Arezzo un Bando Nazionale biennale che viene pubblicato, grazie alla società “Pressroom”, nei principali siti on line specialistici e tramite la stampa nazionale e locale. La SISSCO a sua volta effettua periodiche pubblicazioni nel proprio sito on line e cura le segnalazioni alle varie Università.

    Il Bando viene comunque inviato a tutte le facoltà storiche ed umanistiche italiane, per l’assegnazione di una Borsa di studio, riservata a giovani studiosi che presentino una tesi di laurea o di dottorato ovvero un elaborato che abbia ottenuto la pubblicazione nelle materie storiche, politiche od umanistiche.

    La Giuria è composta da 3 rappresentanti dell’Associazione, tre professori universitari indicati dalla SISSCO e dal vincitore dell’ultima edizione.

    Il Bando ha sempre riscosso l’interesse di molti giovani studiose e studiosi provenienti dalle principali Università Italiane (tanto che la Giuria ha esaminato nelle 4 edizioni oltre 60 elaborati, alcuni dei quali hanno ottenuto l’onore della pubblicazione); l’iniziativa contribuisce a segnalare a tutti gli studiosi l’eccellenza della elaborazione critica nel nostro Paese nella materia degli studi storici ed umanistici.

    Infatti il Premio non si limita ad assegnare la Borsa di studio ma propone alcune significative menzioni per gli ulteriori elaborati che si distinguono per rigore scientifico ed originalità.

    Quest’anno è prevista una duplice Premiazione, in data 14 ottobre 2022 alle ore 17, presso la sala del Consiglio Comunale del Comune di Arezzo, per l’assegnazione della terza e della quarta edizione della Borsa di Studio nazionale (per la terza edizione, causa Covid, non era stata effettuata la cerimonia di premiazione).

    Il vincitore della terza edizione (2019/2020) è risultato il dr. Giorgio Lucaroni con la tesi di ricerca “Architetture e linguaggi di storia. Fascismo, storicità e cultura architettonica italiana tra le due guerre: 1919-1936”

    Il vincitore della quarta edizione (2021/2022) è risultato il dr. Andrea Ostuni, con la tesi di ricerca “La petrolchimica a Brindisi: politiche di sviluppo economico, lavoro e ambiente in una città industriale del Mezzogiorno (1945-1985)”

    La Borsa di studio (di € 3.000,00, oltre a tutti gli oneri di funzionamento) è interamente autofinanziata dai soci, salvo un contributo della Cooperativa “Koiné” di € 1.000,00.

    Ogni cerimonia di premiazione è stata caratterizzata dal tema della ricerca premiata. Quest’anno gli organizzatori hanno deciso di dedicare il colloquio ad un tema che parte dalla ricerca del dr. Ostuni e ne allarga l’indagine alla politica industriale dell’Italia: “Passato e futuro industriale italiano: fra speranze e realtà”.

    Ne parleranno gli storici della giuria (Gianluca Scroccu dell’Università di Cagliari e Iacopo Perazzoli dell’Università degli studi di Milano) ed i giovani premiati.

       

                                    

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

 

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Da ItaloBlogger riceviamo

e volentieri segnaliamo

 

Ricciardi alla Direzione Pd:

“In Europa siamo grande forza”

 

A Roma la Direzione nazionale del Partito democratico. La relazione del Segretario Enrico Letta seguita dal dibattito. Il primo ad intervenire il neo deputato eletto all’estero Toni Ricciardi (vedi il video).

 

“ll Partito democratico non è una forza politica da sciogliere” è stato il giudizio netto del neo-deputato del Pd eletto in Europa e residente in Svizzera, Toni Ricciardi. È stato il primo ad intervenire dopo la relazione del segretario Enrico Letta. Toni Ricciardi ha evidenziato anche il successo che il Pd ha raccolto in Europa e nel mondo tra gli italiani all’estero. Una prova di come “il simbolo del partito sia un marchio riconoscibile e autorevole”.

    Oggi a Roma è in corso il dibattito alla Direzione nazionale del Pd dopo le elezioni del 25 settembre. Il Segretario Enrico Letta, aveva annunciato appeno dopo il voto la necessità di andare al congresso anticipando di non ricandidarsi alla guida del Partito democratico.

    Il congresso dovrebbe tenersi entro la fine di marzo dell’anno prossimo per permettere un vero dibattito capace di dare al partito una nuova classe dirigente all’altezza della sfida politica alla quale sarà chiamato dal primo governo di destra nella storia della Repubblica italiana. Per Enrico Letta la sconfitta del Pd c’è stata ma “non è catastrofica”. Ecco perché occorre andare ad un “Congresso costituente” per tracciare l’identità del partito e la sua collocazione politica in Italia e in Europa”.

       

   

L’Avvenire dei lavoratori

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

 

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra­zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon­diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi­gran­ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar­tiene a tutti.

 

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