L’ADL del 22 settembre 2022

L’Avvenire dei lavoratori

22 settembre 2022 – e-Settimanale della più antica testata della sinistra italiana
Organo della F.S.I.S., Centro socialista italiano all’estero, fondato nel 1894 / Direttore: Andrea Ermano
Redazione e amministrazione presso la Società Cooperativa Italiana – Casella 8222 – CH 8036 Zurigo

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IPSE DIXIT

Io sono. Uno che dubita. Vertiginosamente. – «Non ho mai attribuito particolare valore ai frutti del mio pensiero.” – Cartesio

L’altrieri – In una trasmissione su Rai Radio 3 – «Oggi apriamo con un’incursione a Rondine Cittadella della pace, il paesino in provincia di Arezzo dove convivono ragazzi russi e ucraini, palestinesi e ebrei, bosniaci e serbi…» – Pagina 3 (ascolta sul sito)

Due strofe dalla Canzone per la pace (a causa della quale nel 1966 l’autore venne processato, ma poi presto assolto).

«E se la patria chiama
lasciatela chiamare:
oltre le Alpi e il mare
un’altra patria c’è.

E se la patria chiede
di offrirgli la tua vita
rispondi che la vita
per ora serve a te.”

Franco Fortini

EDITORIALE

Non astenetevi

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, avanzato da tanti,
troppi “ieri”, e trascina con sé un vecchio rovello…

di Andrea Ermano

1. UN VECCHIO ROVELLO – Se passate da una città a nord delle Alpi, vi succederà che molti interlocutori vi domandino se in Italia non sussista un rischio di fascismo. Tutti lo vogliono sapere. E vi sventolano paginate di giornaloni redatti in francese, inglese e tedesco, che indagano, considerano, paventano.
Ma come si profila quest’avanzata, annunciata ma non ancora consumata, della destra postfascista?
Forse che ci troviamo di fronte all’esplosiva, ma tutto sommato innocua enfiagione d’italici entusiasmi a favore di “Io sono Giorgia”?
O s’intravvede all’orizzonte una nuova “bolla” politica abbastanza distruttiva, ma come se n’è avute tante?
O c’è davvero il rischio di una crisi sistemica della democrazia nel nostro Belpaese?
Vattelapesca. Personalmente, ricordo ancora lo sguardo di un ex giovane intellettuale molto di sinistra quando – al culmine di ragionamenti politici – azzardai dire che “Fratelli d’Italia”, secondo me, avrebbe finito per superare il dieci per cento dei consensi… Bum! Lui, con sguardo interrogativo, mi misurò in tutta la mia senilità. E mi resi conto di averla sparata grossa. In fondo, FdI era un partito che – come già l’MSI – si barcamenava da sempre tra il 4% e il 7%…
Questo all’epoca. Ma oggi? Quattro o cinque anni dopo… dopo la pandemia da Covid 19… dopo l’escalation per mano putiniana nella guerra in Ucraina con progetti di annessione per via plebiscitaria… dopo i sostegni più o meno occulti da parte russa a favore delle destre sovraniste in mezzo mondo… e dopo le minacce atomiche! Dopo tutto ciò, confrontate voi stessi il sondaggio di La7 del 13/9/2019 con il sondaggio di Panorama del 13/9/2022. I consensi della Meloni appaiono quadruplicati nel giro di trentasei mesi.

2. COAZIONE A RIPETERE – Ora, la “bolla” di consenso della Meloni – simile per certi versi alle “bolle” di Salvini nel 2019, di Grillo nel 2018, di Renzi nel 2014 e di Berlusconi, nell’ormai lontano 2001 – somigliano a una tragica bomba d’acqua, come quella che ha disastrato le Marche.
Trattasi di fenomeni estremi che si formano in condizioni molto particolari, caratterizzate da vuoti politici e, anche (si badi), da vuoti di idee. Non casuale e, anzi, assolutamente sintomatica appare l’assenza delle questioni ambientali ed ecologiche nella campagna elettorale in corso – assenza denunciata due settimane fa da Marco Morosini su queste colonne in un articolo dal titolo “Come su un altro Pianeta. La Politica senza l’Ambiente”.
Il rischio è che per questa destra “piangere morti sia più conveniente di prevenire”, come notava il filosofo Telmo Pievani. Ed è proprio così. Perché, in seguito alla cataclismatica scomparsa della politica, la quale altro non riflette se non la crisi ormai trentennale della democrazia italiana, molti preferiscono buttare la croce addosso agli avversari anziché compiere quelle scelte unitarie che sarebbero utili a salvaguardare le istituzioni repubblicane in prospettiva europea.
Molta parte del fenomeno Meloni sta in un rimpallo dei risentimenti in continuo rialzo. È la guerra di tutti contro tutti, della quale parlava René Girard, e che alla fine si trasforma in “crisi sacrificale”, cioè nella situazione in cui tutti cercano un capro espiatorio su cui scaricare il loro “tutti contro uno”.
Sugli schermi della Repubblica si tende a riproiettare mille e mille volte il colossal “Tangentopoli”, quando non fu colta l’occasione di Mani Pulite per moralizzare la cosa pubblica (che sarebbe stata molto giusta e opportuna).
No, giammai, bisognava invece radere al suolo i partiti. E privatizzare l’Italia. Con effetti di ingiustizia dilagante che sono ormai davvero sotto gli occhi del mondo.
In realtà, durante questo trentennio in tutto l’Occidente s’è avuto un trasferimento di ricchezza dal basso all’alto senza molti precedenti nella storia, giacché l’1% della popolazione mondiale possiede il 45,6% dei patrimoni privati, recita il Global Wealth Report del Credit Suisse:
«Nel 2021 la ricchezza globale è cresciuta a un ritmo sostenuto, raggiungendo a fine anno 463.600 miliardi di dollari, con un incremento del 9,8% rispetto al 2020. Ed è concentrata nell’1% della popolazione che diventa sempre più ricca: 62,5 milioni di “paperoni” milionari» (vai al sito di RaiNews ).

3. CONTRO IL “TRIO” E CONTRO IL “DUO” – E dunque? Che dire? E soprattutto che fare con i post-fascisti ante portas? Che fare concretamente, rispetto per esempio a coloro che, come il trio Meloni-Salvini-Berlusconi, propugnano “meno tasse per tutti”?
La prima questione, e la più importante, ci pare la seguente: queste destre propongono un bastimento carico di nuovi regali ai ricchi, pagato anzitutto a colpi di tagli di spesa sul reddito di cittadinanza e sulle ripartizioni della Protezione Civile non meno che del Corpo Forestale (vedi alla voce “bomba d’acqua”). Non si dica che nelle Marche non c’era niente da fare! Si sarebbe quanto meno potuto preavvisare la popolazione, per esempio a colpi di messaggini, tipo: “Allarme inondazione: trasferitevi ai piani superiori delle case e non muovetevi fino al cessato allarme”. Purtroppo, però, questo sistema di preavviso non esiste, poiché lor signori stanno in altre faccende affaccendati… Sicché ai satelliti altro non rimase se non assistere impotenti all’ondata che inesorabilmente calò sulle ignare popolazioni intorno a Senigallia.
E allora noi comunque lo ribadiamo: occorre introdurre un servizio di leva civile universale. E prima lo si farà, meglio sarà, non da ultimo per restituire alle giovani generazioni un’offerta minima di orientamento nella società contemporanea.
Dopodiché, una parola sul duo Calenda e Renzi, fautori anch’essi del “meno tasse per tutti”, cioè corresponsabili morali della miseria attuale nel campo del centro-sinistra, giacché hanno portato avanti il programmino che così riassumiamo:
a) Ben guardarsi dal denunciare la continuità postfascista di FdI, dato che Giorgia Meloni è nata dopo Piazzale Loreto (sebbene nutra un’adorazione per il duce).
b) Porre veti a tutte le alleanze tra Letta e Grillo perché turbano il senso estetico di Lor Signori (che trovano poco bella ogni forma di unità nel centro-sinistra).
c) Rompere ogni accordo e patto e posizionarsi in modo da poter offrire un soccorso centrista alle destre (che magari metteranno a disposizione uno strapuntino governativo ai due gigolò confindustriali).

4. Dunque, votate! – Ecco: l’esatto contrario di ciò che vorrebbero il “trio” e il “duo” di cui sopra va bene per il Paese. Tenete presente che astensione equivale a schiavitù perché «la stabilità democratica è a rischio», avverte il vecchio saggio del socialismo italiano, Rino Formica. Andando a votare in massa e convincendo il maggior numero possibile di persone a fare lo stesso, avrete in mano la possibilità di rovesciare il quadro dei pronostici. Non astenetevi!

Manifesto elettorale del segretario galantuomo del PD, Enrico Letta

Il ritorno di Critica Sociale,
una rivista per la democrazia

Convegno di studi

Centotrent’anni
di socialismo italiano

Venerdì 30 settembre 2022, ore 10.30
Salone delle Conferenze Fondazione Filiberto Menna
Lungomare Trieste, 13 – Salerno

Saluti
Beppe Sarno, Associazione Centro Brera-Critica Sociale

Introduce e modera
Massimiliano Amato, Condirettore Critica Sociale

Interventi
Antonio Tedesco, Direttore Scientifico Fondazione Pietro Nenni
Carmine Pinto, Storico, Università di Salerno
Jacopo Perazzoli, Storico, Università di Bergamo
Paolo Borioni, Storico, Università di Roma “La Sapienza”
Marco Trotta, Storico, Università di Chieti “Gabriele D’Annunzio”
Giovanni Scirocco, Storico, Università di Bergamo e Coordinatore Comitato editoriale Critica Sociale

Conclude
Carmelo Conte, Già deputato e ministro della Repubblica

RICEVIAMO E convintamente supportiamo

Un’AZIONE PER CONTESTARE IL “ROSATELLUM”

Caro direttore, per iniziativa di una serie di comitati e associazioni ripresa da singoli elettori si è predisposto un reclamo, al cui testo ho collaborato, da presentare al seggio elettorale sia che si voti che non si voti. Il segretario ha l’obbligo di allegarlo al verbale ai sensi dell’art. 104 dpr n. 361/1957, che prevede una pena tra 6 mesi e tre anni di reclusione, se si rifiuta.
Le giunte per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno l’obbligo di esaminarli prima di convalidare i proclamati eletti. Per ritardare la loro convalida, che renderebbe inutile anche una pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale, sarà anche opportuno fare ricorso ai sensi dell’art. 9 del regolamento Camera dei deputati della giunta delle elezioni o dell’art. 7 del Regolamento del Senato della Repubblica contro la proclamazione dei singoli deputati o senatori nei collegi uninominali maggioritari.

on. avv. Felice C. Besostri

· Per i Moduli accedere al sito del: Coordinamento per la rappresentanza (e contro il Rosatellum)
· Oppure cliccate il mio Website: www.felicebesostri.it

n.b.: TALI RICORSI NON COMPORTANO L’INSTAURAZIONE DI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI E PERTANTO NESSUN RISCHIO DI ESSERE CONDANNATI ALLE SPESE DI GIUSTIZIA ANCHE SE RITENUTI INAMMISSIBILI O INFONDATI.

RICEVIAMO E VOLENTIERI pubblichiamo

Il “Rosatellum” è incostituzionale

E questo voi lo potrete dire chiaro e tondo
al seggio in cui andrete a votare…

di Andrea Fabozzi

C’è un modulo pronto che si può scaricare e stampare (vedi qui sotto l’articolo di Roberto Biscardini e link collegati). Grazie a esso le elettrici e gli elettori potranno presentare un reclamo contro il sistema di voto che non lascia liberi di scegliere. Presidente e segretario sono tenuti a raccogliere le proteste che arriveranno. Queste dovranno approdare poi alle giunte parlamentari. Dopodiché, Felice Besostri e la sua rete di opposizione al “Rosatellum” inizieranno la battaglia affinché si pronunci la Corte costituzionale.

Non vi piace la legge elettorale? Pensate che il Rosatellum sia persino incostituzionale? Adesso siete in discreta compagnia, visto che più di un partito – anche tra quelli che questa legge hanno voluto, votato e imposto con la fiducia – ultimamente la trova pessima. Ma forse non sapete che c’è la possibilità di reclamare formalmente contro il Rosatellum, nel momento in cui si va al seggio a votare. Come fare lo spiega – naturalmente – Felice Besostri, avvocato già due volte vittorioso davanti ai giudici delle leggi contro i sistemi elettorali incostituzionali, Porcellum e Italicum.
È pronto infatti un modello di reclamo con diversi argomenti prestampati per cui l’elettore può segnalare la sua protesta contro il Rosatellum: le liste bloccate che non consentono la scelta, il divieto di voto disgiunto, il fatto che alcune liste siano state discriminate avendo dovuto raccogliere le firme. C’è anche uno spazio bianco per aggiungere altri motivi, volendo. Quando si va a votare – in teoria anche quando si va al seggio ma non si vuole votare segnalando la propria astensione (è un po’ più difficile) – l’elettore può consegnare al presidente il modulo riempito con i propri dati e firmato. Il presidente o il segretario saranno indubbiamente un po’ sorpresi ma devono accoglierlo per una precisa disposizione di legge. L’articolo 74 del testo unico delle leggi per l’elezione della camera dei deputati dice infatti che «nel verbale deve farsi menzione di tutti i reclami presentati, delle proteste fatte, dei voti contestati».

[continua la lettura sul sito]

Da Il manifesto, quotidiano comunista

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze
www.rosselli.org/

LA LOTTA ANTIFASCISTA DI GIOACCHINO DOLCI

Ricordando il compagno di volo di Bassanesi
nel raid aereo antifascista del 1930 su Milano

La serata commemorativa si terrà nella sala Patriziale del piccolo borgo svizzero di Lodrino, Canton Ticino, dal quale l’11 luglio del 1930 prese il volo l’aereo di Giovanni Bassanesi e di Gioacchino Dolci.
I due aviatori raggiunsero in quota la città di Milano sulla quale lanciarono centocinquantamila volantini antifascisti, recanti il motto di Giustizia e Libertà: “Insorgere per risorgere” ideato da Emilio Lussu (nome in codice “Mister Mills”).

Partecipano alla serata la figlia di Gioacchino, Antonella Dolci,
e la professoressa Carmela Mastrangelo (Università La Sapienza, Roma)

Sala patriziale di Lodrino (Canton Ticino)
martedì 27 settembre, dalle ore 20.00

Saluto
prof. Brenno Bernardi,
presidente dell’Associazione Amici di Giovanni Bassanesi

Intervengono
Antonella Dolci, figlia di Gioacchino Dolci
Carmela Mastrangelo, professoressa all’Università La Sapienza (Roma)

Lettura
Daniele Bernardi
leggerà testi di:
Carlo Rosselli, Francesco Fausto Nitti e Gioacchino Dolci

Organizza l’Associazione Amici di Giovanni Bassanesi
www.amicigiovannibassanesi.ch

RICEVIAMO E VOLENTIERI pubblichiamo

Contestare il “Rosatellum”

Avanti con la proposta di Besostri contro questa legge elettorale iniqua!

di Roberto Biscardini

Su proposta del compagno Felice Besostri e di altri avvocati si è deciso di contestare la legge elettorale, detta Rosatellum, perché viola il diritto di voto “personale, libero, uguale e diretto”, riduce e limita la rappresentanza, scoraggia la partecipazione e mina le fondamenta della democrazia costituzionale.
La contestazione avviene in modo regolare e democratico presentando al seggio un reclamo motivato anche in vista di sostenere i ricorsi giudiziari conseguenti.
Qui sotto vedete il link per testo del reclamo/protesta che deve essere stampato in duplice copia. Queste due copie vanno compilate, una per le elezioni della Camera e una per quelle al Senato, e vanno consegnate al Presidente o al Segretario del seggio dopo la votazione, se si decide di votare. Se si decide di non ritirare le schede elettorali, la consegna deve avvenire contestualmente alla manifestazione di questa scelta.

TESTO DEL RECLAMO/PROTESTA

E qui sotto il link con le istruzioni per la consegna al seggio elettorale.
Istruzioni per la consegna del Reclamo/Protesta al seggio elettorale

Il reclamo/protesta dovrà essere allegato al verbale dal Segretario del seggio.
È importante che il numero dei reclami sia elevato!

SPIGOLATURE

Roma al centro
dell’attenzione mediatica

di Renzo Balmelli

CHI, COME? Segnata dall’ombra di dolore e di tristezza per le Marche travolte dall’alluvione, l’Italia si prepara a votare. Fra una manciata di giorni sapremo da chi e come sarà governata. E soprattutto per quanto tempo. Domanda nient’affatto viziosa se pensiamo al numero di traslochi da e per Palazzo Chigi. “Chi e come” sono comunque i temi focali attorno ai quali ruota una sfida che forse non è esagerato definire epocale. Dall’esito che uscirà dalle urne si capirà quale potrebbe essere il futuro ruolo della Penisola nel concerto internazionale e comunitario. E non è che i sondaggi facciano dormire sonni tranquilli. Anzi! Si capisce quindi perché Roma sarà il centro di un’attenzione mediatica riservata ai grandi eventi destinati a fare storia.

DISTANZA. Il confronto tra la sinistra e la destra ha evidenziato due idee dell’Italia agli antipodi. Progressista una, nazionalista l’altra. Aperta una, rivolta al passato l’altra. E dite se è poco. Sul finire di una campagna combattuta ogni giorno senza esclusione di colpi, Lady G, imitando il Forrest Gump di Tom Hanks, si è detta “un po’ stanchina”. Poveretta! Ma se davvero arrivasse a Palazzo Chigi avrà il suo bel daffare, dovendo muoversi nella scia di Mario Draghi, onorato a Nuova York col premio di “Statista dell’anno”. Certo, nessuno in politica è eterno e insostituibile. L’onorificenza a Draghi fornisce tuttavia l’ennesima riprova di quanto sia stata affrettata e sconsiderata la crisi di governo in una fase tanto difficile. Oltre che “stanchini”, sono addirittura esausti gli esclusi dai banchetti con cibi raffinati in cui il potere celebra i suoi riti, magistralmente fustigati da Fellini. Non ci sarà da stupirsi quindi se crescerà l’astensione, segnale ineludibile della distanza di una certa politica dai veri problemi.

DERIVA. Secondo un vecchio proverbio “la prima gallina che canta ha fatto l’uovo”. Quando sono apparse le prime indiscrezioni sui soldi russi ai partiti, nel pollaio le galline sono rimaste zitte. Chi sui social vicini alla destra faceva maliziose insinuazioni rischiava l’effetto boomerang date le ben note posizioni di taluni esponenti italiani nei confronti di Putin. Oltretutto le forze politiche di Roma non sono nell’elenco. Resta invece sul tappeto la questione spinosa delle sanzioni nel caso di una vittoria di coloro i quali le osteggiano, in sintonia con i modelli di società a loro volta attratti dal sovranismo. Si tratta di una tendenza fonte di non poche inquietudini in seno all’Ue. Quanto accaduto in Svezia con la sbandata di estrema destra non fa che rinfocolare i timori in merito a una deriva eurofobica dalle conseguenze imprevedibili.

IMBROGLIO. Samarcanda è una splendida città dell’Asia centrale, culla di una storia lunga 2700 anni, posta lungo la mitica “Via della seta” tra Cina ed Europa. Da ragazzi abbiamo imparato a conoscerla grazie al romanzo di Jules Verne, Michele Strogoff. Crocevia di cultura, la metropoli universitaria dell’Uzbekistan ha ospitato gli scorsi giorni il summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Al vertice ha fatto la sua apparizione Vladimir Putin, preceduto dalla fama di novello zar. Ma non ha funzionato. L’incasso è stato piuttosto magro nel confronto con l’eroe romanzesco di cui sopra. Il peso del conflitto in Ucraina, che rimane un sanguinoso e incomprensibile imbroglio tutto da sciogliere, si è fatto sentire, in termini chiarissimi. Tanto da far dire al più alto livello diplomatico che questo non è il tempo della guerra. Un gesto emblematico della situazione problematica in cui è venuto a trovarsi il Cremlino.

PESSIMISMO. Corre, corre veloce, velocissima, la diplomazia nel groviglio di una situazione ogni giorno vieppiù inquietante. Da Westminster al Palazzo di Vetro è tutto un susseguirsi di appuntamenti per fare fronte a un momento di grave pericolo per la Terra. Nemmeno il tempo di rendere l’ultimo omaggio alla Regina Elisabetta e subito via verso un altro impegno di grande rilievo: la settantasettesima Assemblea generale dell’ONU, dopo la pausa dovuta alla pandemia. Il summit del secolo, come è stato definito il funerale della Regina, è stato teatro di conciliabili preparatori fra i grandi del pianeta assediato dalla crisi e segnato fa forti spaccature geopolitiche. Capi di stato e di governo accorrono ora al capezzale di questo nostro mondo malato che fatica a trovare i giusti rimedi. Alle Nazioni Unite guerra in Ucraina, catastrofi climatiche, insicurezza alimentare compongono il quadro clinico di una delle sessioni più difficili e drammatiche dell’Organizzazione. Non ci si aspettano grandi gesti, ma almeno un segnale di conforto in un contesto colmo di tensioni. Il pessimismo della ragione dice però che non c’è spazio per troppe illusioni.

INCANTATORE. Quando muore un grande scrittore, il modo più onesto per ricordarlo è leggerlo. Fin dal suo primo romanzo Domani nella battaglia pensa a me, che lo pose all’attenzione di pubblico e critica, Javier Marias è un autore che merita di essere letto e riletto. Colui che viene riconosciuto come uno dei maggiori interpreti della letteratura spagnola contemporanea, è venuto a mancare gli scorsi giorni nella sua Madrid a 70 anni, per complicazioni del covid. Tradotto in moltissime lingue, Marias in tutte le sue opere si è rivelato un profondo esploratore dell’animo umano. Senza fare sconti ha avuto il potere di stregarci con le sue parole, imponendosi non solo come un grande esponente della nuova narrativa iberica, ricca di firme autorevoli, ma anche per le doti che fanno di lui un affascinante incantatore di anime. Esistono romanzieri ai quali dobbiamo essere grati per la capacità di dare forma alle nostre esperienze, ai sentimenti, ai pensieri. Per il critico di Giulio Einaudi editore che lo ha reso celebre in Italia, “Javier Marias appartiene a questo genere di scrittori”.

da >> > TERZO GIORNALE *)
www.terzogiornale.it/

Dissesto idrogeologico
C’era una volta il Corpo forestale

A colloquio con Ezio Di Cintio, ex Comandante di Stazione

di Stefania Limiti

Il disastro che il 15 settembre scorso ha colpito le Marche, lo sappiamo, è colpa del dissesto del territorio orchestrato da amministratori e imprenditori voraci. Totalmente indifferenti alla salvaguardia del bene comune. Il Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi), nella sua pagina Facebook, mostra foto raccapriccianti di questa evidenza: a Cantiano, per esempio, la piena del Fiume Burano ha fatto tracimare il corso d’acqua facendogli superando il muro che l’uomo ha costruito per deviarlo su un nuovo corso, riappropriandosi del suo corso naturale.

Per rispettare gli assetti del territorio, la vecchia legge Serpieri, cioè – udite, udite – un regio decreto del 1923, stabilì, con gli articoli 1 e 17, che “sono sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli articoli 7, 8 e 9, possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”, e più avanti: “I boschi, che per la loro speciale ubicazione, difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento o dalla furia dei venti, e quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali, possono, su richiesta delle Province, dei Comuni o di altri enti e privati interessati, essere sottoposti a limitazioni nella loro utilizzazione…”
Questa legge “è stato il faro che ha illuminato generazioni di forestali” – ci spiega Ezio Di Cintio, ex Comandante di Stazione del Corpo forestale dello Stato, oggi in pensione –, “nel dopoguerra fu compiuta una grande restaurazione delle montagne, denudate e sottoposte a degrado e dissesto idrogeologico, fu una colossale opera di messa in sicurezza del territorio della nostra penisola realizzata dal ministero dell’Agricoltura e delle Foreste attraverso di noi, cioè il Corpo forestale dello Stato”. Negli anni successivi, si verificarono due eventi che colpirono drammaticamente quella grande opera di salvaguardia dei boschi, cioè lo spopolamento delle aree interne e il passaggio alle Regioni delle competenze in materia ambientale, soprattutto sul vincolo idrogeologico. Inoltre, gradualmente, il Corpo forestale ha perso diverse competenze: un insieme di fattori che diedero fatalmente spazio a una regressione e all’incuria di quanto era stato fatto fin lì. “Poi arrivò il governo di Matteo Renzi e cosa fece? Invece di riordinare e ridare competenze tecniche al Corpo forestale” – spiega con amarezza Di Cintio – “si arrivò addirittura alla sua soppressione, frantumandolo in varie amministrazioni, nella gran parte militarizzato nell’Arma dei carabinieri. Fu il colpo di grazia”.
(continua sul sito)

*) Terzo Giornale – La Fondazione per la critica sociale e un gruppo di amici giornalisti hanno aperto questo sito con aggiornamenti quotidiani (dal lunedì al venerdì) per fornire non un “primo” giornale su cui leggere le notizie, non un “secondo”, come si usa definire un organo di commenti e approfondimenti, ma un giornale “terzo” che intende offrire un orientamento improntato a una rigorosa selezione dei temi e degli argomenti, già “tagliata” in partenza nel senso di un socialismo ecologista. >>> vai al sito

LAVORO E DIRITTI
a cura di www.collettiva.it

La forza
delle donne

Lara Ghiglione ha da poco assunto la responsabilità delle Politiche di genere della Cgil. Con lei riflettiamo su come la partecipazione femminile al lavoro, alla politica e nel sociale sia determinante per cambiare il modello economico e la società. “L’8 ottobre tutte in piazza per farci sentire”

Intervista di Roberta Lisi

Donne e lavoro, un incontro difficile. Lo attestano tutte le ricerche più recenti, in Italia l’occupazione femminile è scesa sotto il 48% ed è concentrata nei settori del lavoro povero.
Lara Ghiglione: «L’Italia è al 63esimo posto nella classifica delle disuguaglianze del Word Ecomic Forum tra donne e uomini. Per quanto riguarda il lavoro siamo ancora più indietro. La situazione era drammatica anche prima, ma certo – come sappiamo – la pandemia l’ha ulteriormente aggravata. Oggi registriamo una differenza tra occupazione femminile e maschile di ben 18 punti percentuali. Un divario insopportabile. Così come è insopportabile il tasso di part-time del lavoro delle donne, sia quello obbligato dai datori di lavoro che quello “scelto” dalle lavoratrici per l’assenza di servizi e di condivisione con il partner del lavoro di cura, specie quello legato alla genitorialità. Insomma, anche quello richiesto è spesso determinato e quindi viziato da condizioni di partenza diverse. Part-time che non solo rende poveri i salari, che già sono più bassi, a parità di orario, rispetto a quelli dei lavoratori di oltre il 12% secondo Eurostat. Ma limita anche la carriera e determinerà pensioni povere. Insomma, esiste un combinato disposto che crea un problema di quantità di lavoro, ma anche di qualità che si ripercuote dal punto di vista economico, dal punto di vista dei percorsi di carriera, dal punto di vista previdenziale.»
Una situazione drammatica e ingiusta, anche svantaggiosa per il sistema Paese. Cosa fare?
Lara Ghiglione: «Svantaggiosa e miope per il Paese. Basti ricordare che secondo uno Studio European Cause di Ambrosetti la riduzione del divario di genere nel lavoro farebbe aumentare il Pil di ben 14 punti percentuali. Che fare, dicevamo. Innanzitutto, alcune cose per aumentare la partecipazione delle donne sono state fatte:dalla legge Golfo che prevede un numero minimo di donne nei Cda, alla legge Gribaudo che introduce benefici contributivi e sgravi fiscali per le aziende che eliminano le discriminazioni salariali e di carriera, un punteggio premiale per l’assegnazione di appalti eccetera. Oppure, al contrario, delle penalizzazioni se non vengono rispettati determinati parametri. Anche parte degli investimenti Pnrr hanno come obiettivo l’occupazione femminile, anche se con criteri non sempre stringenti. Quindi – diciamo – c’è consapevolezza di una situazione che deve essere migliorata e qualche tentativo va in questa direzione. Passi avanti ma non sufficienti. Intanto la questione della condizionalità nell’assunzione delle donne dovrebbe essere estesa a tutti i finanziamenti pubblici. Poi bisogna agire sulla contrattazione decentrata, soprattutto per i temi che riguardano il percorso di carriera. Anche rispetto a questo, come organizzazione sindacale, ovviamente, vogliamo poter dire la nostra e agire nei tavoli di trattativa. Poi c’è il tema, di prospettiva ma fondamentale, di un cambio di cultura. Da noi, per esempio, le donne hanno pochissimo accesso ai percorsi di studio nelle materie Stem fondamentali per il futuro. Faccio un solo esempio: nel Pnrr ci sono finanziamenti importati proprio nei settori tecnologici che hanno a che vedere con la transizione ambientale e la sostenibilità. Lì trovare donne da assumere è difficile, ecco che aumenta l’occupazione ma non quella femminile. Poi c’è il tema degli investimenti nello Stato sociale, per almeno tre ragioni diverse. Da un lato solo l’aumento dei servizi all’infanzia, agli anziani, alla persona riduce le diseguaglianze. Dall’altro perché quei servizi liberano tempo delle donne, tempo che può essere dedicato al lavoro. Infine, perché gli investimenti in welfare creano posti di lavoro nella gran parte occupati da donne. Vorrei aggiungere che le politiche di genere non sono un “problema” delle donne, ma essendo un termometro di civiltà di un Paese e avendo ripercussioni anche sull’economia complessiva, la presa in carico delle istanze delle donne deve avvenire anche da parte degli uomini. A partire dal tema della contrattazione che deve vederli impegnati a migliorare la condizione di vita e di lavoro delle donne.»
Ma questo basta? O esiste ancora una sottocultura, meglio un pregiudizio, che impedisce la piena condivisione del lavoro di cura e rende arduo per le donne lavorare?
Lara Ghiglione: «Esiste eccome. Finché la genitorialità non verrà assunta come valore sociale, parlo non a caso di genitorialità e non di maternità, questi pregiudizi saranno duri da scalfire. E non si tratta di conciliare – per le donne – lavoro di cura e lavoro in produzione, ma si tratta di condividere quello di cura. Allora il congedo di paternità deve essere obbligatorio e durare quanto quello di maternità o quasi. Dieci giorni sono meglio che niente, ma assolutamente insufficienti per scardinare i pregiudizi. Ancora, una parte dei nuovi lavori è organizzata attraverso algoritmi, che non sono neutri ma “scritti” da umani. Da tempo l’organizzazione sottolinea l’importanza della gestione di questi strumenti, attraverso i quali si può costruire lo sfruttamento moderno del lavoro. Ma se a definirli sono sempre e solo uomini c’è un rischio in più: l’organizzazione di quei lavori sarà determinata da modelli e priorità maschili. E allora la competenza scientifica e tecnologica delle donne anche in questi settori diventa determinante per disegnare l’organizzazione del lavoro su tempi e bisogni differenti.»
La differenza salariale tra donne e uomini continua a essere una costante, nonostante le leggi che la vietano. In realtà, se osserviamo il mercato del lavoro ci si accorge che quelle professioni più vicine al lavoro di cura, o a predominante manodopera femminile vengono remunerate meno. Qualche esempio? Nella manifattura i metalmeccanici e le tessili hanno salari differenti. Nella scuola i primi cicli, dove si concentrano le donne, hanno stipendi più bassi. Insomma, permane nei fatti l’idea che quello delle donne sia salario aggiuntivo?
Lara Ghiglione: «La struttura salariale nel nostro Paese ha radici antiche: fotografava la cultura che separava nettamente lavoro di cura e lavoro produttivo. Una cultura patriarcale che assegnava all’uomo il ruolo di capofamiglia a cui spettava il compito di mantenere moglie e figli. Da decenni, anche per la legge, il capofamiglia non esiste più ma la dinamica salariale stenta a rendersene conto. Ed è vero che quelle professioni che afferiscono alla cura sono pagate meno. Questo pone un problema rilevantissimo: da un lato si svalorizza il tema della cura che invece dovrebbe essere centrale, dall’altro si crea una poco appetibilità per quei ruoli e quelle professioni “poco pagate”. I lavori legati alla cura dovrebbero essere pagati più di altri perché costituiscono la base di quella equità e giustizia sociale così ben delineate dalla nostra Costituzione. Aggiungo una riflessione. Se davvero si vuole intervenire sul trend negativo della natalità occorrerebbe riflettere anche su queste questioni. A far figli sono le donne che hanno un lavoro e anche ben retribuito. Non è un caso che, come attesta una recentissima ricerca, tra quelle in difficoltà economica le percettrici del reddito di cittadinanza hanno un tasso di natalità più altro delle altre.»
Nei programmi elettorali di alcune forze politiche è tornata la proposta del quoziente familiare. Va bene?
Lara Ghiglione: «Assolutamente no. Corrisponde esattamente all’idea dell’ancillarità della donna nella costruzione del reddito della famiglia. Il quoziente familiare dovrebbe servire ad accedere prioritariamente ad alcuni servizi: più è basso più alto sarà il posto in graduatoria. Ecco fatto che il lavoro delle donne e la sua retribuzione scadono di valore. L’autonomia economia di ciascuna donna è fondamentale. Lo è sempre, tanto più in una situazione di violenza domestica. Per fortuna il Parlamento ha approvato il reddito di libertà che consente alle donne vittime di violenza di poter aver un sostegno economico. Utile, ma anche in questo caso non sufficiente. Occorre rinforzare le risorse per i centri antiviolenza e i percorsi che portano alla creazione di lavoro. Solo il lavoro dà la piena autonomia. La vera libertà passa dall’autodeterminazione, anche economica ma non solo. In tutti i casi, rispetto alla violenza, rispetto al proprio corpo e alla scelta o meno di essere madri.»
Infine, tutte le conquiste – da quelle degli anni 70 fino alle recentissime – sono state possibile grazie all’alleanza trasversale tra donne diverse. Da poco hai assunto la responsabilità delle politiche di genere per la Cgil nazionale. Come intendi proseguire il rapporto con le donne fuori dall’organizzazione?
Lara Ghiglione: «Hai usato il termine giusto. Bisogna proseguire una relazione da tempo pratica con le donne dell’associazionismo e dei movimenti, pur con le peculiarità e le prerogative che ci contraddistinguono. C’è un punto che mi sta molto a cuore, non bisogna mai dare per scontato nulla. La forza delle donne ha reso possibile la conquista di molti diritti, da quelli sul lavoro fino a quelli sul proprio corpo, ma quelle conquiste non sono per sempre. Basti pensare a quello che sta succedendo sulla 194. Occorre avere forte questa consapevolezza e tornare a esercitare, tutte insieme qualunque sia il luogo nel quale siamo, quella forza collettiva che ha consentito a noi e al Paese di fare passi avanti. Per questa ragione ritengo importante che alla grande manifestazione nazionale, prevista per l’8 ottobre a Roma e lanciata dal segretario generale Landini durante l’assemblea nazionale delle delegate e dei delegati del 14 settembre a Bologna, la presenza delle donne, delle studentesse, delle lavoratrici e delle pensionate, sia imponente. La partecipazione attiva delle donne è necessaria se davvero vogliamo cambiare paradigma e modello di sviluppo, partendo proprio da quelle giuste e necessarie rivendicazioni di cui abbiamo parlato.» (vai al sito)

Da Avanti! online
www.avantionline.it/

OGGI IN ITALIA,
DOMANI IN SPAGNA?

Tutto al contrario, inclusa l’inversione dello slogan antifascista “Oggi in Spagna, domani in Italia”. La Destra di Giorgia Meloni rovescia tutto e annuncia l’arrivo in Europa dell’ultradestra…

di Maria Teresa Olivieri

“Mi auguro che il centrodestra italiano guidato da Fratelli d’Italia vinca le elezioni e che questo possa aprire la strada a qualcosa di simile anche in Spagna tra qualche mese”, è quanto ha affermato la leader di FdI.
Intervistata da Efe, Meloni dice di aver avuto confronti con Santiago Abascal, leader del partito di destra spagnolo, la presidente di Fdi inoltre si augura che dopo Roma, anche a Madrid venga scansata la sinistra. “Siamo uniti dal rispetto reciproco, dall’amicizia e dalla lealtà. Ci diverte il fatto che in Italia la sinistra usi Vox per attaccare i Fratelli d’Italia e in Spagna Fratelli d’Italia sia usato per attaccare Vox”. Meloni però ci tiene a lanciare un messaggio a Bruxelles: “Non siamo affatto contro l’Europa, ma per un’Europa più efficiente”.
Rassicura e respinge al mittente le accuse del Centrosinistra sulla natura fascista del suo partito, alla domanda Giorgia Meloni condivide la celebre frase di Gianfranco Fini che definì il fascismo “male assoluto”? La risposta: “Io ero dentro An quando Fini ha fatto quelle dichiarazioni, non mi pare di essermi dissociata”, risponde la leader di Fratelli d’Italia a Rainews.
Ma per il segretario del Psi Enzo Maraio “Giorgia Meloni ha finalmente gettato la maschera: vuole distruggere l’Europa e svenderla a Orbàn e alla destra nera di Vox. Le impediremo di esporre l’Italia all’isolamento e di portare gli italiani al disastro economico”.

Su Radio Radicale
www.radioradicale.it/

Luciano Pellicani
Un socialista liberale

Il convegno “Luciano Pellicani. Un socialista liberale”, è stato
registrato a Roma martedì 20 settembre 2022 (vai al sito).

Evento organizzato dalla Fondazione Bettino Craxi.

Sono intervenuti:

Margherita Boniver (presidente della Fondazione Bettino Craxi),
Giovanni Orsina (presidente Comitato Storico-Scientifico Fondazione Craxi),
Nicola Carnovale (direttore Generale della Fondazione Craxi),
Paolo Mattera (professore),
Umberto Ranieri (presidente della Fondazione Mezzogiorno Europa),
Giovanni Scirocco (professore),
Corrado Ocone (presidente del Comitato Scientifico di Nazione Futura),
Tommaso Visone (professore),
Sergio Benvenuto (psicoanalista, filosofo e saggista),
Gaetano Pecora (professore),
Luigi Compagna (presidente dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale).

da “p.s. Zeitung” settimanale dei socialisti zurighesi
riceviamo e volentieri rilanciamo in versione italiana

117 anni di Coopi
MA ora (Forse) si chiude

di Sergio Scagliola

Con la chiusura che si prospetta per lo storico locale operaio di Zurigo l’eredità dell’emigrazione italiana entra in una nuova era. Nella quale occorrerà tenere nel debito conto una piccola grande storia.

Luogo politico quant’altri mai, apprezzato snodo di connessione/di-scus-sione per tutta la sinistra elvetica: nel marzo prossimo il Coopi abbandonerà la sua attuale sede nel Quartiere Quattro di Zurigo. Dopo si vedrà.
Perché? Non essendo a rischio di fallimento, la scelta del Coopi deve avere a che fare con la sua funzione. E con una questione di dignità. L’attività gastronomica del Coopi non può realizzarsi “a prescindere”, a fronte di affitti impossibili e ulteriori ondate di Covid. Perciò – dopo quasi 120 anni e cinque sedi – lo storico ristorante ha deciso di non esercitare l’opzione di proroga del contratto fino al 2028.

Lenin, il Sessantotto, il Telegiornale – Fondato nel 1905, il Coopi si è distinto, in modo particolare fino al secondo Dopoguerra, come luogo in cui grandi personalità della politica e della cultura europea hanno discusso tra loro, forgiato progetti o anche fatto semplicemente una pausa pranzo… A partire da Lenin, che nel 1917 consumò qui il suo ultimo pasto prima del famoso viaggio per San Pietroburgo. Addirittura, il Telegiornale svizzero, avviato negli anni Cinquanta da Dario Robbiani, ebbe al vecchio Coopi il suo tavolo conviviale insieme a Renzo Balmelli e Mario Barino, tutt’ora membri d’onore della Società Cooperativa Italiana Zurigo, ente gestore del locale. Lo ricorda il presidente, Andrea Ermano, senza sottacere un lontano 1° maggio 1913, allorché mangiò al Coopi financo Mussolini, «ma quand’era ancora direttore socialista de L’Avanti! milanese, molto tempo prima che la sua polizia segreta iniziasse a vessare gli antifascisti italiani frequentatori dello storico ritrovo zurighese».
Anche il PS svizzero ha celebrato qui le sue vittorie elettorali. E il movimento giovanile del Sessantotto ha iniziato a organizzarsi in questo locale. Così come i sindacati operai vi sono sempre stati di casa: «Per quasi 120 anni, il Cooperativo ha dato un suo contributo alla politica e alla comprensione tra popoli di diverse nazioni, producendo libri, giornali, eventi, film e trasmissioni tv», sostiene Ermano. Questo patrimonio storico non deve ora andare perduto con la chiusura. Non scomparirà per l’assenza del ristorante. La Società continuerà ad esserci. Ma lo storico ritrovo della Zurigo rossa non potrà andare avanti senza un sostegno istituzionale: «Se qualcuno vorrà garantirci un luogo in cui poter lavorare, noi saremo felici di continuare le attività. In caso contrario, il costo delle locazioni zurighesi è fuori portata per una piccola cooperativa».
Effettivamente, la situazione degli affitti nella città sulla Limmat non consente a un ristorante come il Coopi di operare senz’assumere rischi temerari.

Un centro interculturale. il primo. – Né si deve dimenticare quale fosse la funzione originaria del Cooperativo. Che nacque in tempi assai agitati, quando le dispute politiche si svolgevano animatamente, talvolta accompagnate da episodi di violenza. Il Coopi svolse allora un ruolo pacificatore, fu subito un’opportunità di dibattito non-violento, un forum cittadino di confronto e di conciliazione. L’offerta gastronomica seguì, a complemento della funzione sociale: «Ed è questo il fulcro delle nostre attività: siamo sempre stati un centro interculturale, uno spazio aperto, in cui parlare di politica e di cultura. Ma, dopo centoventi anni, lo strumento del ristorante ha forse perso in forza propulsiva: è uno tra migliaia, oramai», spiega Ermano.
Che la funzione del Cooperativo come punto d’incontro gastronomico non sia più necessaria? «Questo non dipende solo da noi. Oltre tutto, esistono molti posti nei quali ci si può incontrare a pranzo o a cena. Che essi si trovino accanto al centro sociale Kanzlei, piuttosto che al Ristorante “Boy” o al Coopi, non è decisivo. Con o senza ristorante, la nostra tradizione politico-culturale non perirà. Questo è ciò che conta veramente».
Durante la pandemia, la Cooperativa Italiana si è messa al passo con i tempi. Si è letteralmente traferita “in rete”. L’Avvenire dei lavoratori, settimanale nato nel 1897 e anch’esso edito dalla Società, raggiunge oggi con la sua Newsletter 20.000 lettrici e lettori in tutto il mondo: un nuovo grande spazio d’incontro e di discussione. All’interno del quale i “cervelli in fuga”, come sono detti i laureati che lasciano l’Italia, possono collegarsi ai vecchi emigrati, o ai lettori e alle lettrici di Sydney, di New York e di Firenze, magari grazie anche alla blogger in Nuova Zelanda.
Ciò, tuttavia, non comporta che il Coopi non possa andare avanti, anche in forma diversa. Anzi, un sesto trasloco, dopo cinque location, farebbe quasi parte della tradizione…
Ma se nuove forme e connessioni dovessero realizzarsi in un nuovo Coopi, per Ermano sarebbe vederlo continuare con sede nel “suo” Quartiere Quattro – dove lo scrittore Ignazio Silone scrisse Fontamara, dove da sempre s’incontrano i socialisti, dove sono nati i sindacati e il movimento giovanile: «Dove in tempi ormai antichi ma indimenticati decise di trasferirsi un teologo sociale della statura di Leonhard Ragaz».

Il testo originale tedesco del presente articolo è apparso su P.S. – settimanale dei socialisti zurighesi (vai al sito) – venerdì 16 settembre scorso, in pagina di apertura. Ringraziamo sentitamente l’Autore, Sergio Scagliola, la direttrice di P.S., Min Li Marti, per la gentile concessione, nonché la traduttrice, Maria Satta, per la versione italiana. – La red dell’ADL

L’Avvenire dei lavoratori – Voci su Wikipedia :
(ADL in italiano) it.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_lavoratori
(ADL in inglese) en.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori
(ADL in spagnolo) es.wikipedia.org/wiki/L’Avvenire_dei_Lavoratori
(Coopi in italiano) it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo
(Coopi in inglese) en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo
(Coopi in tedesco) de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

LETTERA
nenni sessant’ANNI DOPO…

TOH, CHI SI RIVEDE

Seguendo i dibattiti televisivi sulla invasione russa dell’Ucraina ho provato tante sensazioni di consenso o dissenso sulle opinioni espresse, ma ho sentito riaffacciarsi nei dibattiti stessi una posizione che mi ricordavo di aver letto su un diario del 1962, quello di Pietro Nenni.
Ho controllato il secondo volume dei Diari alle pag. 213-214, dove Nenni descrive (21 febbraio 1962) l’incontro con Arthur Schlesinger jr. in visita a Roma. Schlesinger era all’epoca un collaboratore importante di Kennedy, Presidente degli USA.
I due statisti parlano della possibilità del superamento del centrismo in Italia grazie a un incontro politico di centro-sinistra, tra i partiti politici socialista, socialdemocratico, repubblicano e democristiano sulla base di un programma di rinnovamento della politica nazionale.
Nenni a proposito della politica estera e militare annota: «Ho spiegato che la nostra impostazione neutralistica è incompatibile con l’oltranzismo atlantico e con una politica d’impronta ideologica. Sono su questo punto della sua opinione, ha detto Schlesinger. Non è invece incompatibile con una politica di distensione che affronti seriamente i problemi del disarmo e della pace. In ogni caso quella che nasce è la speranza di una nuova politica, non la nuova politica tout court».
Ho trovato l’analogia con quanto non mi convince oggi, nella posizione di coloro che sostengono il diritto dell’Ucraina (e poi vengono Finlandia e Svezia, per conseguenza analogica) di dichiarare di voler entrare nella NATO e, quindi, assegnano a tale espressione di volontà un effetto esecutivo, nel senso che, avendo loro deciso l’ingresso, questi si realizza.
Eppure, il diritto di esprimere questa volontà, che più correttamente deve definirsi richiesta di ingresso nella NATO, non può essere negato. Contemporaneamente non può essere negato nemmeno il diritto di chi già fa parte della NATO di pretendere l’applicazione dell’articolo 10 che dice: «Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale».
Mettiamo pochi punti fermi. Ogni Stato europeo può essere invitato ad aderire al Trattato del Nord-Atlantico; quindi lo Stato invitato decide di aderire dopo l’invito e non prima.
L’invito dev’essere unanime da parte degli Stati che già fanno parte dell’alleanza i quali pre-esaminano se l’adesione di un nuovo Stato contribuisca o meno alla sicurezza dell’intera area nord atlantica, cioè quella europeo-americana.
Chi capovolge e falsifica quanto sopra sostiene che l’Ucraina ha diritto ad entrare nella NATO, cioè decide di entrare, dando a ciò un senso esecutivo. Chi sostiene tale linea non è l’unanimità degli Stati aderenti alla NATO, ma la posizione ufficialmente espressa dal Presidente USA Joe Biden e da tutti gli atlantisti ad oltranza, che usano l’argomento NATO in modo ideologico. Ecco perché ho rivisto dopo 60 anni riaffacciarsi «l’oltranzismo atlantico” e «una politica d’impronta ideologica».
Allo stesso modo, i sostenitori della linea che non condivido attribuiscono alle decisioni di Finlandia e Svezia analoga portata esecutiva. Capovolgendo il Trattato.
La NATO non deve fare politiche espansionistiche che alterino gli equilibri di sicurezza degli aderenti e dei non aderenti; dev’essere un’alleanza di garanzia e di mantenimento di equilibrio «in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo» (art. 1 del Trattato).
La sicurezza in Europa si fa garantendo tutti, riprendendo e attualizzando quanto convenuto nell’Accordo di Helsinki del 1975 sulla sicurezza in Europa. La via è difficile ma non prevede la guerra.
Mi fermo qui perché ho voluto solo raccontare di quest’analogia, dopo sessant’anni. In altra sede parleremo del necessario ruolo dell’Europa.

Mauro Scarpellini, Terni

Grazie, grazie davvero, compagno Scarpellini. Ricordando il grande Pietro Nenni, ci hai fatto comprendere quanto è scarsa la cultura politica della pace nei tempi difficili che stiamo attraversando. – La red dell’ADL

L’Avvenire dei lavoratori
EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

L’Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigra-zione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del “Centro estero socialista”. Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall’Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all’estero, L’ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mon-diale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l’Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L’ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l’integrazione dei mi-gran-ti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all’eclissi della sinistra italiana, diamo il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appar-tiene a tutti.

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